La Corte costituzionale ha deciso ieri, dopo due giorni di camera di consiglio. Secondo i giudici delle leggi, non è punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

La decisione arriva dopo undici mesi dalla prima ordinanza, dell’ottobre 2018, in cui la Corte aveva definito «doveroso» consentire al Parlamento ogni «opportuna riflessione e iniziativa» sul fine vita.

Immediato il commento di Marco Cappato, dalla cui vicenda penale relativa all’aiuto prestato a Dj Fabo è scaturita la questione di legittimità sollevata dalla Corte d’Assise di Milano: «Oggi siamo tutti più liberi, anche chi non è d’accordo».

È «non punibile», a «determinate condizioni», chi «agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

Con queste parole la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità dell’articolo 580 del codice penale sollevata nell’ambito del processo a Marco Cappato per il suicidio assistito di Dj Fabo. In attesa di un indispensabile intervento del legislatore, la Corte «ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua ( articoli 1 e 2 della legge 219/ 2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente».

La Corte ha infine sottolineato che «l’individuazione di queste specifiche condizioni e modalità procedimentali, desunte da norme già presenti nell’ordinamento, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018.

Rispetto alle condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate» . La decisione è arrivata nella serata di ieri, dopo due giorni di lunga camera di consiglio e anche un retroscena polemico, in cui si ipotizzavano pressioni sui giudici per lasciare al Parlamento altro tempo per legiferare in materia.

Ieri sera alle otto, infine, è arrivata la decisione sulla punibilità dell'aiuto al suicidio. I giudici si sono pronunciati, stabilendo la parziale illegittimità dell’articolo 580 del Codice penale - che punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio con pene tra i 5 e i 12 anni di carcere - nella parte in cui disciplina l’aiuto al suicidio, in risposta della questione sollevata dalla Corte d’Assise di Milano nell’ambito del processo a Marco Cappato, che ha accompagnato Dj Fabo nel suo ultimo viaggio in Svizzera.

Secondo i giudici lombardi, l’articolo del codice penale sarebbe in conflitto con gli articoli gli articoli 2, 13, primo comma, e 117 della Costituzione, in forza dei quali il diritto a porre fine alla propria esistenza costituirebbe una libertà della persona, facendo ritenere quindi «non lesiva di tale bene» la «condotta di partecipazione al suicidio che però non pregiudichi la decisione di chi eserciti questa libertà».

La Corte Costituzionale, nell’ordinanza del 24 ottobre 2018 sulla questione di legittimità sollevata nel processo milanese a Cappato, aveva definito «doveroso» consentire al Parlamento ogni «opportuna riflessione e iniziativa» sul fine vita «laddove, come nella specie, la soluzione del quesito di legittimità costituzionale coinvolga l’incrocio di valori di primario rilievo, il cui compiuto bilanciamento presuppone, in via diretta e immediata, scelte che anzitutto il legislatore è abilitato a compiere, questa Corte reputa doveroso - in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale - consentire, nella specie, al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, così da evitare per un verso che una disposizione continui a produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili, ma al tempo stesso scongiurare possibili vuoti di tutela di valori, anch’essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale».

Il legislatore, tuttavia, è rimasto inerte in questi undici mesi, con iniziative tutte ancora nella fase preliminare dell’iter di approvazione ( le Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali della Camera il 31 luglio scorso, dopo un dibattito durato 2 mesi, hanno alzato bandiera bianca, alla luce dell’impossibilità di arrivare all’elaborazione di un testo base che unificasse le proposte in discussione: uno di iniziativa popolare, le altre presentate da Andrea Cecconi del Gruppo Misto, Michela Rostan di Liberi e uguali, Doriana Sarli del Movimento 5 Stelle e Alessandro Pagano della Lega. Al Senato invece non è iniziato l’esame dei due disegni di legge presentati da Tommaso Cerno del Pd e da Matteo Mantero di M5S). Dunque i giudici delle leggi sono intervenuti autonomamente.

La decisione, come mostra il dispositivo, non ha riguardato la costituzionalità e dunque non punibilità della condotta di Cappato, in quanto l’ordinanza del 2018 aveva già indicato come «l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’articolo 32, secondo comma, della Costituzione».

I giudici hanno invece dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, limitatamente all’ipotesi di aiuto al suicidio, nella parte in cui non consente che il giudice possa escludere la punibilità del fatto, ove sia accertato che l’aiuto al suicidio è prestato in presenza di quattro requisiti: la capacità del malato di prendere decisioni libere e consapevoli; la presenza di una patologia irreversibile; sofferenze fisiche e psicologiche ritenute assolutamente intollerabili e il fatto che la persona debba essere mantenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale.

Se, in presenza di queste condizioni, il malato abbia inequivocabilmente manifestato la volontà informata di porre fine alla propria vita in modo rapido e indolore e abbia bisogno dell’ausilio di un soggetto terzo, quest’ultimo non è punibile.

Dopo che è stato reso noto il dispositivo, immediata è arrivata la reazione di Marco Cappato: «Oggi siamo tutti un po’ più liberi, anche chi non è d’accordo. Non si obbliga nessuno, ma è una libertà in più. E’ un passo avanti importante per la libertà e laicità del nostro Paese», e ha poi aggiunto che continuerà «a battersi per una buona legge sull’eutanasia legale».