'Ma ti pare che Franceschini fa una dichiarazione simile senza che il segretario sia d'accordo?', s'inalbera un collaboratore stretto di Nicola Zingaretti quando gli si chiede se la proposta di Franceschini rivolta ai 5S, accordi a tutto campo sin dalle regionali, abbia preso di sorpresa il governatore del Lazio. In realtà nel ' partito per bande' il fattaccio potrebbe verificarsi eccome, ma non è questo il caso. La rapidità con la quale Zingaretti si è affrettato a benedire e fare propria la proposta di quello che è ormai a pieno titolo l'ambasciatore del Pd in terre pentastellate dimostra che in effetti il segretario sapeva e concordava.

I 5S non hanno perso tempo nel rispondere ' Giammai'. Non li ha presi sul serio nessuno, essendo ormai acclarato che nel vocabolario dell'M5S la parola ' Mai', si traduce ' Non ora. Magari stasera o al più tardi domani'. In effetti poche ore dopo la drastica chiusura Di Maio spiegava al collega capodelegazione del Pd nel governo che certo l'ipotesi è plausibile ma senza correre troppo perché bisogna ' farla accettare ai militanti'.

Meglio dunque partire dalla mediazione che i capigruppo avevano in realtà già quasi concordato nei conciliaboli che hanno portato alla nascita del governo: una specie di desistenza travestita. I 5S presenterebbero alle Regionali solo liste di attivisti locali, che nei loro calcoli non dovrebbero andare oltre il 5- 6%, evitando così di disturbare troppo il Pd e anzi, secondo gli auspici più rosei, dragando anche un po' di elettorato potenzialmente leghista. Il problema è vedere se un accordo sottobanco di questo tipo basterà. In Emilia, che tra le 9 imminenti sfide regionali è la più importante perché perdere la regione rossa per eccellenza tramortirebbe il Pd e destabilizzerebbe di brutto il governo, il Pd è convinto di sì. Soprattutto perché ritiene che, appunto, quel 6% o giù di lì, sarebbe sottratto ai forzieri leghisti non a quelli del partito che governa la Regione dai tempi dei tempi. Peraltro di alternative non ce ne sono, essendo i rapporti tra i due partiti di governo al minimo storico da quelle parti.

Le cose stanno diversamente in Umbria, la prima delle regioni che arriverà alle urne. Lì, per evitare la conquista della Regione da parte della destra o almeno per battersela, l'alleanza vera è propria è l'unica via possibile. Le relazioni tra i due alleati di governo sono relativamente buone e dunque l'opzione, a livello locale, non viene ancora scartata da un Pd speranzoso. Nulla da fare invece in un'altra regione chiave a rischio: la Calabria. Lì i due partiti sono troppo ai ferri corti per andare oltre la mini desistenza e ancora ancora.

Poi c'è naturalmente Roma e nella Capitale il guaio è grosso. Con il Campidoglio già a Cinque Stelle e la Raggi inevitabilmente in campo per un secondo mandato i 5S non possono certo desistere. Neppure il Pd però può ritirarsi: sarebbe una rotta. L'accordo, già molto difficile, è reso però se non impossibile ( parola che nella politica italiana va ormai depennata dal vocabolario) almeno quasi impossibile e, trattandosi, di Roma, le conseguenze di una campagna elettorale agguerrita potrebbero essere esiziali. L'ostacolo indicato da Di Maio, la resistenza dei militanti, è reale ma non è l'unico. Il più ostico è rappresentato dalle spaccature interne. Al nazareno hanno atteso con massimo interesse la reazione di Matteo Renzi. Per l'ex segretario che non ha affatto rinunciato al progetto scissionista e che ha sempre considerato l'alleanza con i 5S un obbligo emergenziale e nulla di più, sarebbe stata un'occasione d'oro per lanciare una prima offensiva. Non la ha colta. E' rimasto n silenzio e i suoi bisbigliano che Renzi ' non è davvero contrario'. Questione di tempi. Per l'ex segretario è fondamentale che il governo resti in sella e non sia troppo destabilizzato, sia perché si tratta di una sua creatura e il fallimento lo travolgerebbe, sia perché questo esecutivo deve arrivare al traguardo di quella legge proporzionale che per Renzi è questione di vita o di morte.

Ma sotto il cielo pentastellato le cose stanno diversamente. Lì c'è una parte di vertice e soprattutto uno specifico leader per cui un accordo stabile con il Pd sarebbe tombale: Alessandro Di Battista. Proprio giovedì, mentre Zingaretti adottava e rilanciava la proposta di Franceschini, ' il più amato dai 5S' caricava a testa bassa: ' Non credo al cambiamento del Pd'. Non è che l'inizio.