Era scontato che i sottosegretari alla Giustizia fossero equamente ripartiti. Uno del Movimento, l’altro del Partito democratico. Prima casella nel segno della continuità, con il confermato Vittorio Ferraresi, secondo incarico che passa inevitabilmente dal leghista Jacopo Morrone a un esponente del nuovo alleato di governo: il prescelto è Andrea Giorgis, costituzionalista torinese, responsabile Riforme nella segreteria Zingaretti e accompagnato da ottima reputazione di accademico e deputato. Alla Camera è stato impegnato in prima commissione, dove ha seguito il dossier del riassetto istituzionale.

Una soluzione già scritta, quella dell’equilibrio negli incarichi. Ma non priva di rilevo. E il guardasigilli Alfonso Bonafede lo dice in modo esplicito: «Ora che la squadra è completa siamo pronti a partire a pieno ritmo, ci sono tutti i presupposti per fare un ottimo lavoro di squadra». Poi nota come la sua conferma al ministero della Giustizia sia «il riconoscimento del lavoro fatto in 14 mesi» e quella di Ferraresi «un ulteriore segnale in questa direzione». Fino a una frase dal colore solo in apparenza neutro: «Ho già chiamato anche il neo sottosegretario Giorgis: lo attendiamo per affrontare insieme le ambiziose sfide che ci aspettano». Frasi di circostanza? Non proprio. Il completamento dell’organico di via Arenula è anche il sigillo su una responsabilità condivisa: il cantiere della giustizia ha sì in Bonafede il “titolare” ma, come riconosce lui stesso, sarà idealmente aperto. Il segnale in realtà era arrivato giovedì, con il primo faccia a faccia tra il guardasigilli e il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, che è anche predecessore di Bonafede. Si è aperto un «tavolo di confronto» per una «analisi sui provvedimenti» da completare «entro settembre», dopodiché, ha assicurato il ministro, «faremo partire la riforma che dimezza i tempi dei processi». La novità dunque è che la giustizia non è più semplicemente la bandierina del Movimento. È stato così nel primo governo Conte. Al punto che quando il guardasigilli ha messo sul tavolo dell’alleanza il suo ampio ddl, Matteo Salvini lo ha rigettato come un’istanza inammissibile. È stato il punto di non ritorno di un metodo senza prospettive: ciascuno piantava le proprie insegne distintive, come se alcune materie fossero solo di una parte e non del Paese. La giustizia ai cinquestelle, i porti chiusi alla Lega. Con l’inevitabile conseguenza che, arrivati al dunque, il Carroccio ha scelto l’ostruzionismo.

Non sarà più così. E si riferisce proprio a questo, il messaggio di Bonafede sulla «squadra completa» che consente di iniziare davvero la partita. Orlando lo sa bene. E non intende sabotare i piani del successore. Nonostante i numerosi punti di distanza: la prescrizione innanzitutto, ma anche il sorteggio per eleggere i togati al Csm e le intercettazioni. Solo che il vicesegretario dem non ricorrerà a forme di guerriglia. Casomai andrà alla ricerca di un equilibrio che, intanto, prevede l’integrazione del ddl Bonafede con alcune norme ritenute utili dal partito di Zingaretti.

Si vedrà nel dettaglio se saranno confermate le ipotesi circolate dalle parti del Nazareno, e attribuite in particolare al vicesegretario. Molto probabile che i dem chiedano un riequilibrio tra le prerogative delle Procure e quelle dei Tribunali, con i giudici e i capi degli uffici inquirenti chiamati a controllare in modo più stringente le scelte dei pm, soprattutto in materia di tempestività delle iscrizioni a registro e di effettivo rispetto dei termini delle indagini. Ma la giustizia non sarà tutta concentrata sui dossier del processo penale, per quanto si tratti dei capitoli più spinosi. Intanto saranno formalizzate a breve le deleghe per i sottosegretari. E se il dossier carcere è destinato a restare nelle mani di Ferraresi, è assai probabile che Giorgis erediti da Morrone alcuni fascicoli “eccentrici” rispetto alla materia penalistica. Innanzitutto il tavolo tecnico aperto con le professioni sull’equo compenso. Il precedessore leghista, che lo ha coordinato finché non è arrivata la crisi, ha predisposto uno schema di massima per rafforzare le norme a tutela dei compensi professionali. Un lavoro che ha utilizzato in gran parte la piattaforma di proposte messa a punto dal Cnf. Ma Giorgis potrebbe essere chiamato a dar man forte al ministro anche sul ddl dell’avvocato in Costituzione, incardinato a Palazzo Madama nella stessa commissione che ha visto il sottosegretario finora impegnato a Montecitorio, la Affari costituzionali.

Deciderà Bonafede a breve. Di certo i tavoli aperti sono numerosi. Ieri si è riproposto quello con l’Anm che ha riunito il proprio parlamentino e che, per voce del presidente Luca Poniz e del segretario Giuliano Caputo, ha chiesto di «riaprire il confronto sulla riforma del processo e del Csm». Con il preannuncio di una «ferma opposizione» su almeno due passaggi del ddl Bonafede: il sorteggio per il Csm e le sanzioni disciplinari per i pm tardivi. «Con la nuova alleanza potrebbero esserci maggiori spazi di discussione», secondo Caputo. Può darsi. Ma sull’addio alla linea remissiva nei confronti delle toghe, Orlando pare pienamente d’accordo con Bonafede.