«Il tema delle alleanze alle regionali non è all'ordine del giorno». La smentita del Movimento 5 Stelle all’ipotesi di intese a livello territoriale col Pd non è un portone sbattuto in faccia. È più un invito alla cautela senza però escludere nessuno scenario. L’apertura a possibili alleanze pre- elettorali, del resto, è un tema ormai sdoganato tra i grillini, digerito dalla base pentastellata che ha già votato su Rousseau la proposta Di Maio per consentire al Movimento di apparentarsi con altre liste locali in occasione di Comunali e Regionali.

Ma un conto sono le liste civiche e un conto i partiti. Anzi, il Partito ( democratico) che molti attivisti continuano a guardare con sospetto nella migliore delle ipotesi. Ma, reciproci pregiudizi a parte, l’estensione dell’accordo di governo a livello locale farebbe molto comodo a entrambi i partiti, costretti a difendersi dalla cavalcata salviniana. Il Movimento 5 Stelle, del resto, pur avendo riscosso altissimi consensi in tutte le competizioni Politiche, non è mai riuscito a convincere gli elettori a livello Regionale, un’anomalia, per una forza di quelle dimensioni, frutto della storica allergia grillina alla alleanze.

Luigi Di Maio è perfettamente consapevole della necessità di aggirare l’ostacolo, ma deve mediare tra le varie anime del suo movimento a livello nazionale e locale. «Abbiamo già detto chiaramente che non è possibile per noi, non è previsto dal nostro statuto e non c’è nessuna volontà di farlo. Quindi l’argomento per noi non esiste nemmeno» , dice ad esempio Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri nel precedente governo in odor di riconferma, da sempre scettico sul matrimonio col vecchio nemico.

«Non ci sono deroghe. Il nostro statuto, recentemente modificato, parla di alleanze possibili solo in via sperimentale con liste civiche», taglia corto il deputato M5S. Ma per un Di Stefano che chiude, c’è un Gallo ( Luigi) che apre. «Un’Italia monocolore e di destra a livello regionale mi preoccupa», dice il presidente della commissione Cultura a Montecitorio, molto vicino al presidente della Camera Roberto Fico. E pur ammettendo una «distanza siderale» dai dem a livello regionale, Gallo si aspetta dai vertici del suo partito «una strategia credibile e vincente per essere alternativi alla peggiore destra che avanza in tutte le Regioni». Tradotto: un tavolo di confronto va comunque aperto.

Il tempo a disposizione per rifletterci è però ridotto. Il primo appuntamento con le urne è fissato per il 27 ottobre, in Umbria. Il risultato nella storica roccaforte rossa è tutt’altro che scontato, dopo le dimissioni della governatrice dem Catiuscia Marini per le indagini su presunti illeciti nelle assunzioni del sistema sanitario regionale. La possibile candidatura di Andrea Fora, cattolico molto attento al sociale e convinto sostenitore di un centrosinistra molto largo, potrebbe non dispiacere ai grillini, che però smentiscono ogni indiscrezione su possibili intese.

Dopo l’Umbria, toccherà a Emilia Romagna e Calabria rinnovare i consigli ( e le Giunte) regionali. La data non è ancora stata fissata, ma gli elettori dovrebbero essere convocati al massimo a gennaio 2020. Ma anche in queste regioni l’accordo sembra abbastanza complicata. In Emilia, da sempre rossa ma anche culla del grillismo di prima maniera, difficilmente uno dei due partiti sarà disposto a rinunciare a un proprio candidato.

L’uscente Stefano Bonaccini non è in discussione. «Non c’è nessun ponte aperto in Emilia Romagna tra il Movimento 5 Stelle e il Pd in vista delle prossime elezioni regionali», mette subito in chiaro Andrea Bertani, capogruppo regionale del M5S. Anche se a livello nazionale «si sono trovati dei punti di accordo per il bene dei cittadini, le distanze con chi oggi è alla guida» della Regione «sono tante». Emilia Romagna, del resto, fa rima con Max Bugani, socio di Davide Casaleggio in Rousseau e plenipotenziario del Movimento sul territorio. Sarebbe sorprendente se Bugani, che avrebbe preferito il voto all’alleanza coi dem, seppellisse l’ascia di guerra in nome di un percorso in cui non si riconosce.

Infine c’è la Calabria, dove sembrava che l’accordo fosse a portata di mano, con il Nazareno disposto a sacrificare Mario Oliviero sull’altare della nuova alleanza, in contrapposizione al partito locale. A complicare la situazione però si è messo Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia e calabrese d’adozione. «Dal mio punto di vista assolutamente no», dice il senatore a proposti di un’evenuale intesa. «Se lei avesse a che fare con alcuni Pd e certe Forza Italia, credo giustamente che, come si dice in calabrese, le si drizzerebbero le carni. Avrebbe un moto di sdegno e di ribrezzo per cui a fronte di certe situazioni io preferisco star lontano», è la sentenza di Morra.

Insomma, ogni scenario sembra aperto e chiuso allo stesso tempo. Grillini e dem mai così vicini, mai così loltani.