I simboli sono simboli. Vivono di vita propria. Così diventa irrilevante quel “dettaglio” sul caso Friuli: la legge regionale del governatore Fedriga era finita sotto la lente dell’avvocatura dello Stato assai prima che si avvertissero le avvisaglie del sisma politico d’agosto. Non solo: la prima riunione del Conte 2, tenuta giovedì, è coincisa solo casualmente con l’ultima data utile, al neo ministro Francesco Boccia, per sollecitare la Regione a guida Lega ad «apportare alcune necessarie modifiche» al testo per evitare di affidarlo alla Corte costituzionale. Dettagli, appunto: non proprio marginali ma già travolti dall’onda mediatica. E così l’impugnazione decisa dal Consiglio dei ministri dell’altro ieri sulle norme approvate a Trieste in materia di immigrazione già segnano la rottura tra vecchio e nuovo, tra primo e secondo governo Conte. Non solo. Innanzitutto perché alla svolta interna corrisponde un’apertura inattesa, proprio sui migranti, da Bruxelles, con la Commissione Ue che auspica una «revisione del Trattato di Dublino in tutti i suoi aspetti». E poi perché quella cesura tra passato e nuovo corso è notata persino da chi non è incline a colorare i fatti con toni accesi, come l’Osservatore romano. Dal quotidiano della Santa Sede arriva nell’edizione di ieri il seguente rilievo: «Il primo Consiglio dei ministri riunito da Conte ha lanciato alcuni segnali di novità». Riferimento all’impugnazione della legge friulana, che «discrimina i migranti».

Cambiano le cose a Roma, e lo notano tutti. Ma già cambiano pure a Bruxelles. Interpellata sull’appello di Luigi Di Maio per un superamento del sistema di Dublino, la portavoce della Commissione europea Natasha Bertaud risponde: «Il sistema di asilo dell’Unione deve essere riesaminato in tutti i suoi aspetti, c’è sul tavolo una riforma che deve essere ancora adottata». Una posizione non del tutto nuova. Ma dirlo ora, a un giorno dall’insediamento del governo Conte 2, poche ore dopo quell’invocazione del ministro Di Maio, dà il senso di una fase nuova anche nei rapporti fra Ue e Italia. Assimilabile a quella sulla flessibilità nei bilanci.

La Bertaud è accompagnata dal parere di un italiano che a Bruxelles ha fatto proprio il presidente della Commissione, Romano Prodi: «Sui migranti bisogna arrivare alla fine di Dublino, sono abbastanza ottimista sul fatto che usciremo dalla follia», dice dal Forum di Cernobbio. La situazione è chiara. Arrivano rassicuranti risposte a una riflessione della neo ministra alle Infrastrutture Paola De Micheli, la dem subentrata a Toninelli: «Senza una nuova politica europea che aiuti un Paese come l’Italia, il rischio che si corre è di essere infilati sul piano comunicativo dall’attuale minoranza». Neppure il tempo di dirlo che quell’aiuto è già arrivato.

Presto per dire che la svolta sui migranti, a Roma come nelle cancellerie, è cosa fatta? Può darsi. Ma intanto il caso Friuli è già sui binari che porteranno la Corte costituzionale a pronunciarsi sulla legittimità di alcune norme della “legge Fedriga”. Sulla più discriminatoria, a cui allude lo stesso Osservatore romano,

ossia quella che subordina al requisito della residenza in regione da almeno 5 anni le agevolazioni alle imprese che assumono disoccupati. È presto, molto presto, per scrutare nell’orizzonte la futura possibile pronuncia della Consulta. Si possono però citare almeno un paio di recentissimi precedenti. Che sembrano disinnescare in partenza le invettive rivolte ieri al nuovo esecutivo da due grandi sconfitti del nuovo corso. Matteo Salvini, innanzitutto. Il quale inun tweet così liquida la scelta del ministro agli Affari regionali Boccia, ideatore del siluro alla legge friulana: «La Regione aveva deliberato una legge a tutela dei lavoratori italiani. Impugnata dal nuovo governo. Non è un danno a Salvini, ma ai cittadini». Il governatore Massimilano Fedriga, inevitabilmente furibondo con Boccia ( «quelle del Pd sono menzogne, la Regione Friuli non aveva preso assolutamente l’impegno di ritirare le norme contestate, come ha dichiarato il ministro» ), fa eco al suo leader e rilancia: «Noi diciamo una cosa basilare e cioè che i soldi del Friuli devono servire ai disoccupati della regione e non all’Afghanistan e al Pakistan». Eh. Però è quel «devono» che rischia di non trovare d’accordo il giudice delle leggi. Nel maggio del 2018, infatti, la Corte costituzionale dichiarò ( sentenza 107) illegittima un’altra legge regionale, quella che in Veneto imponeva il requisito della residenza in Regione da almeno 15 anni ( o l’attività lavorativa svolta per identico arco temporale) agli extracomunitari che avessero voluto iscrivere i loro figli agli asili nido. Previsione che «contrasta con il principio di uguaglianza», secondo la Consulta, « non essendovi alcuna “ragionevole correlazione” tra la residenza prolungata in Veneto e le situazioni di bisogno o di disagio ». Come a dire: il sostegno, anche per affidare a qualcuno i figli e potersi recare al lavoro, va dato a tutti i bisognosi, a prescindere dal fatto che siano stranieri.

Non è finita qui. Perché con una pronuncia emessa due mesi dopo, la 166 del 20 luglio 2018, la Corte costituzionale definì «sproporzionata ed eccessiva» la permanenza in regione da almeno 5 anni prevista dal decreto Sviluppo del 2008 come requisito per concedere anche agli extracomunitari il cosiddetto “bonus affitti”, ossia il contributo per il canone di locazione offerto agli indigenti. Cinque anni: proprio il requisito per le agevolazioni dirette ai disoccupati imposto da Fedriga. Non una prova certa. Ma un indizio che anche dinanzi alla Corte costituzionale le ragioni del Conte 2 possano essere più ascoltate di quelle dell’ex vicepremier Salvini.