Dopo le dure proteste avvenute al carcere perugino di Capanne a causa della diffusione della falsa notizia che il suicidio del detenuto straniero sarebbe stato scaturito da un pestaggio ( mai avvenuto), le celle della sezione protagonista della vicenda sono state temporaneamente chiuse, permettendo solo due ora d’aria e i detenuti facinorosi sono stati trasferiti. Una decisione inevitabile da parte della direttrice per poter calmare gli animi e gestire l’oggettiva problematica che affligge il carcere, soprattutto riguardo i detenuti in media sicurezza.

Un problema che però si sta diffondendo anche in altre carceri. Il garante regionale delle persone private della libertà Stefano Anastasìa, raggiunto da Il Dubbio, spiega che le criticità sono dovute dal fatto che il carcere di Capanne è diventato un contenitore di diversi detenuti che provengono da altre carceri e trasferiti perché problematici. «Il carcere di Capanne è diventato un vero e proprio luogo di disperazione – spiega Anastasìa -, degli sfollamenti della Toscana». E vi mandano i detenuti più problematici, come quelli raggiunti da provvedimenti disciplinari o con problemi di salute mentale. Va da sé immaginare che la rivolta è quindi una tragedia annunciata. «Con questi continui trasferimenti – sottolinea sempre il garante regionale – progressivamente il carcere diventa un contenitore di persone problematiche e non è attrezzato per gestirle».

Il provvedimento della chiusura delle celle sarà appunto temporaneo, con la prospettiva di dividere la casa circondariale tra quello che tornerà ad essere aperto e a sorveglianza dinamica e una parte in cui terranno le persone più problematiche. Tra l’altro, su questo punto, potrebbe arrivare una circolare del Dap che proporrebbe le differenziazioni delle sezioni di media sicurezza.

Ma, come detto, il carcere è diventato un contenitore di persone difficili da gestire, aggravato da due fattori. «Uno da un mancato adeguamento del sistema penitenziario e dei servizi sanitari alla chiusura degli ospedali psichiatrici – spiega il garante Anastasìa -, l’altro fattore è stata la scorsa circolare del Dap che è diventato un altro motivo di girandola dei detenuti per gli istituti».

La circolare in questione, ricordiamo, ha disposto la possibilità di traferire i detenuti per motivi di sicurezza. Ma cosa ha provocato? Sempre secondo il garante della regione Lazio e Umbria, «il detenuto che compie violenza è giusto che venga punito, ma se tali eventi debbano essere sempre causa di trasferimenti, vuol dire rimandare il problema ad altri». Una situazione che riguarda quasi esclusivamente i detenuti che sono in media sicurezza, spesso quelli più disperati che non avendo nessuna speranza, utilizzano metodi di protesta per farsi sentire.

Un problema che riguarda principalmente i detenuti stranieri che, in mancanza di mediatori culturali e altre figure importanti per rapportarsi con loro, si sentono lasciati soli. Resta comunque il dato oggettivo della difficoltà di gestione a causa dei problemi elencati. La sorveglianza dinamica, in realtà, funziona soprattutto quando ci sono opere trattamentali, in maniera tale che i detenuti possano avere la possibilità di poter far qualcosa, oltre che sostare nei corridoi. La direzione del carcere di Capanne, ad esempio, nonostante la carenza oggettiva di attività trattamenti, ha comunque riattivato dei corsi di formazione professionali. Ma non bastano e ci vuole appunto un patto, con l’aiuto del Dap e la regione, affinché si incrementino le attività. Un problema che è però generale e riguardano la maggior parte delle patrie galere.