È sulla sedia a rotelle, viene curato al 41 bis del carcere di Viterbo in maniera non sufficiente nonostante le gravi condizioni cliniche. Ha chiesto il rinvio della pena per potersi curare, ma il tribunale di sorveglianza, nonostante concordi con la mancanza di cure adeguate, dice che può rimanere al 41 bis. I legali hanno fatto ricorso in Cassazione che, con la sentenza numero 36975 del 3 settembre scorso, l’ha ritenuto fondato e chiesto di riesaminare il caso. Parliamo del 50enne Vincenzo Santapaola, figlio primogenito di Nitto, l’ottantenne padrino di Catania, il quale è stato condannato in via definitiva a 18 anni con sentenza della Corte di Appello di Catania del 2016 per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso.

Il tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rigettato l'istanza di rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena per gravi condizioni di salute avanzata da Santapaola. I magistrati richiamavano la relazione redatta in data 5.12.2018 dal dirigente sanitario della Casa circondariale di Viterbo in cui si dava atto delle patologie di cui soffriva il boss : “Esiti di fratture multiple a livello delle branche ischiopubiche e dell'ala iliaca dx trattate con mezzi di sintesi metallici; esiti di corna post traumatico della durata di circa tre mesi; residua vescica neurologica per coinvolgimento dei nn sacrali; incontinenza anale; danno del nervo sciatico e peroneale dx con deficit sensitivo sia prossimale che distale. Nel 2012 una caduta esitava in rottura di una delle placche di sintesi a livello della sinfisi pubica”.

Ma anche dell'esito di un consulto interdisciplinare intervenuto nel settembre 2017 presso il reparto detenuti dell'Aou Le Molinette di Torino, il quale aveva concluso per la non necessaria rimozione dei mezzi di sintesi; per il trattamento esclusivamente farmacologico del dolore cronico pelvico perineale; per l'assenza di indicazioni chirurgiche; per la conferma dell'attuale trattamento della disfunzione viscerale vescicosfinterica, con possibile giovamento di un tentativo di introduzione della Tai con appositi dispositivi; per la opportunità di un trattamento fisioterapico di tipo estensivo, ovvero di mantenimento, che non necessitava di ricovero ospedaliero; del carattere immutato del quadro clinico delineato a Torino e della circostanza che Santapaola, nei primi mesi del 2018, aveva eseguito a Viterbo un ciclo di sedute di Fkt con beneficio parziale; inoltre, che il condannato, al momento, godeva di un'autonomia parziale e si spostava mediante l'ausilio di una sedia a rotelle.

Ciò premesso, il tribunale di Sorveglianza osservava che le descritte condizioni cliniche del condannato, pur essendo gravi, dovevano considerarsi cronicizzate, non mettevano a repentaglio la vita e potevano ricevere i necessari trattamenti sanitari in regime detentivo, né apparivano in contrasto con il principio di umanità della pena, tenuto conto della variegata serie di interventi sanitari assicurati negli anni dall'Amministrazione penitenziaria. Nel concludere per il rigetto dell'istanza, il Tribunale capitolino rilevava, tuttavia, che presso la Casa circondariale viterbese, nell'ultimo anno, era stato eseguito un solo ciclo di fisioterapia, ritenuto, peraltro, non ottimale dal dirigente sanitario, e che, quindi, occorreva segnalarsi al competente ufficio del Dap la necessità di trasferimento del detenuto “in struttura prossima a presidio sanitario” che assicurasse “l'elaborazione di un progetto personalizzato di fisioterapia» con previsione del «periodico ricorso alle tecniche sopraindicate”.

I legali hanno fatto ricorso e la Cassazione l’ha accolta con rinvio, sottolineando soprattutto che il provvedimento ha limitato il suo esame “ad un profilo esclusivamente astratto, ha ritenuto soltanto doveroso inviare al Dap una segnalazione circa le condizioni di salute del detenuto, invitando l'Amministrazione ad una sistemazione più congrua; tuttavia, non ha svolto istruttoria in tal senso e non ha richiesto al competente Dipartimento informazioni circa la reale possibilità di svolgere una particolare terapia pur in costanza di detenzione carceraria”.