Certo, rispetto a Antonio Griffo Focas Flavio Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo: più prosaicamente conosciuto come Totò, anche uno come Paolo Gentiloni Silverj, pur con tutti i suoi attestati nobiliari, non può far altro che arrossire.

Eppure è a lui che oggi guardano le Cancellerie, con quella punta di rassicurante soddisfazione nell’accogliere un politico assai perbene che fa buon uso di forchetta e coltello, e volendo li posiziona sulla tavola ben apparecchiata anche con la geometria appropriata, in luogo del tanto temuto smutandato leghista che avrebbe reso problematica ogni possibile forma di collaborazione. E se nell’albero di tutti i Silverj, appaiono il conte Domenico, suo trisavolo, musicista e primo sindaco di Tolentino, e Vincenzo Ottorino Gentiloni, uomo di fiducia di Pio X, è giusto che anch’egli, il Paolo contemporaneo, sia da considerare quanto meno Conte. Insomma almeno come l’altro che Conte lo è senza ombra di dubbio, se non altro per cognome e, diciamolo, anche un po’ per portamento da squisito figurino.

Ma può una disfida solo su base anagrafico/ nobiliare giustificare la nascita di un nuovo governo in sospetto di paradossalità? Certo che no, e anche qui soccorrerebbe almeno un curriculum di un certo peso, che alla voce Gentiloni Silveri si compone di un’unica ma ragguardevole voce: «Praticò le buone maniere». Vi sembrerà paradossale aver fatto carriera solo con uso di buona educazione, che nell’Europa più produttiva sarebbe utile, al massimo, per concorrere per un buon posto di capo cerimoniale alla Tate Gallery, ma è quanto accade nel nostro paesello adorato, dove conti variamente detti diventano addirittura presidenti del Consiglio in virtù di quell’accidente del destino che è poi farsi trovare nel posto giusto al momento giusto, cioè quando qualcuno del trio Maraviglia ( Casaleggio, Grillo, Di Maio) passa di lì.

I due comunque possono esser fieri dei titoli acquisiti e considerando che uno, politicamente parlando, è un novellino rispetto all’altro, dobbiamo certamente attribuire al pivello “Giuseppi”, come affettuosamente lo chiama il vecchio Donald, una capacità di assorbimento di usi e costumi locali assolutamente sbalorditiva. Tanto da traghettarsi nel giro di una sola settimana da un governo di destra, orrendo fascio/ razzista come veniva universalmente considerato, a uno di sinistra ecologico e solidale che si pone come obiettivo - minimo - di salvare il mondo in barca con Greta ( non è esattamente uno dei punti espliciti del programma di governo, ma tutto sottende a questa meravigliosa opportunità).

Certo, qualcosa andrà ridiscusso nel disallineamento estetico- sartoriale dei nostri eroi, laddove la pochette virginale a tripla ( o quadrupla) punta esibita dal Conte è un marcatore frou- frou piuttosto pronunciato, rispetto a quel “color can che fugge” che inevitabilmente avviluppa la figura anche un filo triste del Silveri. Che fare, dunque, infilare un fazzoletto adamantino anche nel taschino di Gentiloni per riequilibrare il gusto del governo, o aspettare semplicemente che il nostro se ne parta per l’Europa e dimenticarsi di lui?

Nell’attesa si dovrà pur notare che se i particolari estetici dei protagonisti di questo governo trascinano le gazzette italiche in lunghe e articolate dissertazioni, e qui non ci togliamo certo dal mazzo delle responsabilità, il tono e la profondità culturale di questa operazione politica tra Partito Democratico e Cinquestelle non devono poi apparire così luminosi. Ma forse la realtà è che l’eleganza entra sempre, in tutte le questioni. Soprattutto in termini di stile, di decoro, di dignità collettiva. E chissà se basta una pochette inamidata o un lignaggio antico per rendere più digeribile ciò che ( anche) esteticamente appare saldamente vanesio. Ma, ed è ciò che conta ( con la a), universalmente apprezzato.