Sono i vecchi comunisti, per età o cultura, i più ostili all'accordo Pd- M5S: come Emanuele Macaluso, che flagella un Pd ' ammalato di governismo', come Biagio De Giovanni, che sferza il ' mostro a due teste, una di quelle cose terribili dei quadri di Bruegel', come Fausto Bertinotti che bersaglia la ' recidiva demolizione della democrazia' ma anche, se si deve dar retta alle voci che circolano ovunque nei palazzi, come ex altissime - le più alte di tutte - autorità istituzionali.

Come si spiega questa decisa contrarietà all'accordo anche da parte di uomini come Macaluso, che nel Pci non incarnava certo l'ala sinistra e, se le voci su Napolitano fossero fondate, come un ex presidente che, dal Colle, ha sempre messo l'esigenza di evitare lo scioglimento anticipato delle legislature al primo posto? Le ragioni, come sempre in questi casi, sono molteplici e diverse. Vanno dal dissenso tattico a breve a elementi molto più fondamentali e costitutivi di una intera cultura politica.

Ma di certo, ai primi posti, figura l'antica diffidenza della cultura del Pci per tutto quel che l'M5S incarna, senza nulla escludere. Fatta salva le retorica devoluta a puro scopo propagandistico, il partitone diffidava delle masse, del ' popolo' abbandonato a se stesso. Le reazioni dei vertici comunisti dopo la rivolta di Battipaglia, che costò due vittime nell'aprile 1969, e a maggior ragione dopo quella di Reggio Calabria, prolungatasi per mesi a partire dall'estate 1970 ed egemonizzata dalla destra neofascista, non lasciano dubbi sulla sospettosità e fondamentale ostilità con la quale Botteghe oscure osservava e giudicava gli scoppi spontanei di rabbia popolare. Il partito considerava molto più un pericolo che non una risorsa la democrazia assembleare nella quale risultano egemoni le pulsioni emotive del momento e le arti del comiziante prevalgono su quelle del freddo calcolo politico.

Il Pci, come oggi l'M5S, era anche un potente veicolo di ascesa sociale, non portava certo in Parlamento solo intellettuali e funzionari. Ma il percorso era graduale, la selezione rigorosa, la scuola di partito, intesa sia in senso proprio che in quello lato dell'attività quotidiana delle sezioni, mirava anche a formare gli eventuali futuri parlamentari. Il contrario esatto del modus operandi pentastellato che si è affidato spesso a poche decine di voti sulla piattaforma per decidere chi inviare a Montecitorio o palazzo Madama.

Per chi viene dalla cultura del Partito comunista l'M5S non è eversivo per questa o quella specifica posizione che assume ma proprio per la sua struttura e per i suoi ' fondamentali'. Altrettanto importante è il diverso rapporto che il Pci e il pronipote intrattengono sia con lo stare al governo che con la collocazione opposta, all'opposizione. Per un partito che era condannato all'opposizione e aveva imparato di conseguenza a pesare e a incidere dagli spalti dell'opposizione il risultato in termini concreti, anche inteso nella sua accezione più cruda di uno spostamento dei rapporti di potere effettivi nella società, era sempre e quasi per forza prevalente. Persino quando, pur di avvicinarsi al governo, il Pci accettò di sacrificare parecchi capisaldi, negli anni della solidarietà nazionale tra il 1976 e il 1979, la presenza al governo non era comunque considerata valore in sé ma sempre inquadrata in un progetto strategico, pur se poi fallito.

Certo, da questo punto di vista il contesto generazionale e storico ha una valenza decisiva. E' ovvio che un partito escluso dal governo per definizione considerasse comunque la presenza nel governo, pur auspicata, condizione importante ma non essenziale. Ed è altrettanto normale che partiti nati per andare al governo come quelli della filiera Pds- Ds- Pd vedano le cose e la politica in tutt'altra prospettiva. E tuttavia è indubbio che quella spinta verso il governo in sé comprensibile si è trasformata in un ' governismo' fine a se stesso e considerato di fatto l'unico obiettivo. Così come è certo che per il Pd l'opposizione è una terra selvaggia, inospitale e soprattutto sconosciuta, dalla quale fuggire il prima possibile e comunque nella quale non si può fare niente se non cercare di tornare al governo.

Tutto ciò non significa negare che nel tentativo dei ' grandi vecchi' dell'ex Pci di frenare la corsa all'accordo siano probabilmente entrate anche considerazioni più tattiche e utilitaristiche. La vulgata per cui l'accordo rischia di svuotare i forzieri elettorali dell'M5S a vantaggio di quelli del Nazareno è frutto di pigrizia mentale: essendo andata così con la Lega, la dinamica si ripeterà con il Pd.

Non è così. Meno sprovveduti di quanto sembrino i 5S hanno capito subito che la strada per evitare di replicare il disastro e soprattutto per sfuggire all'accusa di intelligenza col nemico da parte dei loro stessi elettori passa per un comportamento opposto. Tanto i 5S sono stati malleabili con Salvini, altrettanto si dimostreranno inflessibili con il Pd.

Dovrà essere chiaro che accettano graziosamente il loro contributo ma non li considerano affatto soci alla pari. Restano ' il partito di Bibbiano'. Alla fine, l'eventuale ma prevedibile fallimento del governo sarà pagato essenzialmente dal Pd, sul quale ricadrà facilmente la responsabilità di essersi adeguato ai vincoli imposti dal bilancio. La sola via d'uscita sarebbe la creazione di una stabile alleanza politica sia nelle regionali che nelle elezioni politiche che però, per i motivi già esposti, per la cultura comunista sarebbe quasi un rimedio peggiore del male. Per quella cultura il governo gialloverde è solo una partita a perdere comunque.