Dopo il successo del suo testamento emozionale Dolor y Gloria, presentato allo scorso Festival di Cannes che è valso al protagonista Antonio Banderas, il premio come miglior attore, Pedro Almodóvar arriva a Venezia per ricevere un meritatissimo Leone alla Carriera e si concede in una conversazione piena di ricordi delle sue “Venezie” ( 1983 e 1988) e del cambiamento che ha testimoniato e portato attraverso i suoi film.

È stato qui a Venezia la prima volta con L’indiscreto fascino del peccato e poi di nuovo nel 1988 con Donne sull’orlo di una crisi di nervi. Ci racconta la sua Mostra?

Il mio battesimo come regista internazionale è stato proprio qui al festival nel 1983 con il film di cui mi piace citare il titolo spagnolo, Entre Tinieblas. Ero un giovane regista e per me il semplice fatto di partecipare ad un festival internazionale aveva del miracolo. È stato un miracolo che il mio film sia stato selezionato perchè allora, a Gianluigi Rondi che era il Direttore, legato alla democrazia cristiana, il film parve osceno. Tutte queste discussioni con Rondi sono finite in bocca alla stampa, molto se ne parlò e così e fu impossibile togliere il film dalla selezione dato che suscitò grande empatia nel festival e nella stampa. Per tutto questo ho un buon ricordo. Poi siamo tornati nel 1988 con Donne sull’orlo di una crisi di nervi e ho un ricordo di festa perenne e costante, dall’istante in cui abbiamo messo piede al lido, la conferenza stampa sembrava una gran teatro e commedia con grassissime risate con i giornalisti. Abbiamo vinto il premio alla miglior sceneggiatura, io ho questo ricordo delle attrici meravigliose di cui ero estremamente orgoglioso perché davano un’immagine della Spagna ultramoderna.

Citando il suo ultimo film Dolor y Gloria, a Venezia per lei solo gloria grazie al Leone d’Oro alla carriera.

Il Leone alla carriera è un premio importantissimo, specialmente se lo ricevi e io a Venezia come dicevo sono nato come regista e per me tutto questo racchiude un’emozione speciale. Se uno vive un tempo sufficiente, il tempo diventa un fattore importante e devo ringraziarlo il tempo perchè mi ha dato ragione. Quando siamo venuti qui nel 1988, c’era Sergio Leone come Presidente della giuria e Lina Wertmüller. Li ho incontrati per strada e mi dissero che gli era piaciuto tantissimo il film e che era importante che film come il mio venissero a Venezia e fossero promossi. Non vinsi niente. Il fatto che ora mi sia conferito questo premio rappresenta 31 anni dopo un atto di giustizia politica.

Ci parla della politica nei suoi film visto che è stato sempre un pioniere della libertà e la diversità?

Quando ho iniziato a fare cinema, negli anni ‘ 80 in Spagna, il paese si era appena destato da una dittatura durata 40 anni e la cosa importante per la gente in Spagna era il fatto che avessimo perso la paura e potessimo godere di una libertà enorme. Il potere che avevo e ho come regista mi ha permesso di imporre in tutti i mie film la varietà della vita che vedevo attorno a me, i personaggi che qualcuno possono definire bizzarri, stravaganti, strani, per me rappresentavano la vita e volevo che tutti gli orientamenti sessuali fossero i benvenuti perchè erano quelli che riscontravo nella realtà attorno a me. Il mio potere come regista e sceneggiatore è quello di dare libertà morale ai miei personaggi, chiunque essi siano, suore casalinghe travestiti.

Considera moderna la Spagna di oggi? E l’Europa?

Siamo di certo un paese moderno, contemporaneo e come tutti paesi vogliamo di tutto, vogliamo anche una cosa che, fino a poco tempo fa, si rifiutavamo di avere: un partito di estrema destra. Adesso ce l’abbiamo anche noi, cosa che invece in Italia, in Francia, in Inghilterra già c’è da tempo.

I suoi film hanno una forma chiara, sono “almodovariani”. Quando ha iniziato aveva intenzione di creare uno stile distintivo o è successo nel tempo?

Nei primi film con no budget per me era importante solo che la storia si capisse. Per la terza pellicola, che presentai qui, L’indiscreto fascino del peccato, avevo un produttore, un certo budget quindi ho incominciato ad avere consapevolezza del linguaggio cinematografico e me ne sono innamorato. Non mi sono mai preoccupato di avere un mio stile, credo che queste cose avvengano per conto loro. Il potere di cui parlavo, quello del un regista, mi permette di pensare solamente a ciò che io voglio e questi film nascono da me e li realizzo in estrema libertà e indipendenza senza tenere conto delle esigenze del pubblico. Questo avviene dal mio primo film quindi se c’è uno stile credo si debba proprio a queste circostanze.