Con la convocazione al Quirinale di Giuseppe Conte, sembrano finiti i quattordici mesi di un governo, che era nato sommando due partiti che si erano presentati contrapposti alle elezioni, costruendo un anomalo “Contratto di governo”, di cui il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto - in violazione dell’articolo 95 della Costituzione - essere il garante e non il titolare dell’indirizzo, e aveva proseguito la sua vita passando per scontri continui, aggirando il Parlamento in più occasioni, cercando la rottura con l’Europa, mettendo in pericolo la nostra collocazione internazionale, impostando una politica delle migrazioni secondo una cifra di egoismo, giocando in modo pericoloso con i social network. I n questi giorni, l’attenta conduzione della crisi da parte del Presidente della Repubblica ci ha ricordato l’intero testo del 2 comma dell’articolo 1 della Carta (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”) e ci ha dato dimostrazione delle “forme” e dei “limiti”.

La durata predeterminata del Parlamento fino a quando c’è la possibilità di costruire una maggioranza e la prevalenza della rappresentanza sui sondaggi o sulle elezioni per organi diversi; il ruolo delle istituzioni di garanzia e quello, non aggirabile, del Capo dello Stato nella gestione delle crisi di governo; le limitazioni di sovranità necessarie per assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni; il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo - e non solo del cittadino - sia come singolo, sia nelle formazioni sociali. Sono principi non negoziabili, garantiti non solo dalla Costituzione italiana, ma anche da quella europea. E noi siamo in Europa, facciamo parte di una tradizione culturale e storica comune, alla quale nessuno può responsabilmente rinunziare.

Sarà dunque il Presidente incaricato a condurre le trattative - difficili oggi, come in tutte le crisi di governo - per la definizione programmatica e organizzativa del Governo. In questa fase, sarà lui a discutere nomi ( quelli dei Ministri, e quelli del o dei Vicepremier, che ben possono non esserci) e programmi con le delegazioni dei partiti che lo appoggiano e scioglierà definitivamente la sua riserva se dai partiti otterrà il via libera; basterà un minimo di intelligenza costituzionale per dare una corretta collocazione alla consultazione della piattaforma Rousseau, che rimane una modalità di formazione della volontà di un partito.

In caso positivo, guidati, nel rispetto della Costituzione, da un nuovo- vecchio Presidente del Consiglio, alla fine di questa inaspettata - e ancora inspiegata - crisi, ci potremmo trovare a confermare, con tutte le opportune benedizione, le appartenenze atlantica ed europea dell’Italia e a ripristinare, pur se tra qualche sussulto, le corrette procedure della democrazia parlamentare. Si tratta di obiettivi non banali che possono dare legittimazione politica, e non solo costituzionale, a un nuovo governo anche in questa legislatura.

Ma anche per una nuova maggioranza ( così come per la nuova opposizione di centro- destra che sembra profilarsi), i problemi rimangono sul tappeto.

Ferma la scelta europea, occorrono politiche di riequilibrio sociale che non voltino le spalle ai ceti produttivi con aumenti della tassazione; bisogna ricostruire una gestione umanitaria della crisi migratoria, senza dimenticare la necessità di un controllo politico dei flussi; si deve riprendere in mano in maniera equilibrata il tema del regionalismo differenziato; occorrono politiche della giustizia che non cedano alle sirene, sempre forti, del giustizialismo; devono essere potenziate le infrastrutture del Paese, pur nel rispetto dell’ambiente; occorre far ripartire il tema delle riforme costituzionali, operando con interventi puntuali che affianchino in maniera coerente la riduzione del numero dei parlamentari e riformulino lo strumentario degli istituti di democrazia diretta. Riuscirà il nuovo governo ad affrontarli?