A quasi un mese dalla morte del carabiniere Mario Cerciello Rega, ucciso nella notte tra il 25 e il 26 luglio, diverse testate due giorni fa hanno titolato “perizia psichiatrica per Finnegan Lee”, il 19enne californiano reo confesso dell’omicidio, e in carcere insieme all’amico e presunto complice Gabriel Christian Natale Hjorth. Ma al Dubbio, nella sua prima intervista da quando ha ricevuto il mandato difensivo, il noto penalista romano Renato Borzone chiarisce che «non è vero» che con il co- difensore Roberto Capra «abbiamo chiesto o stiamo per chiedere una perizia psichiatrica».

Avvocato Borzone, cosa può dirci in merito alla presunta perizia psichiatrica? Si basa su questo la vostra strategia difensiva?

A dire il vero ho ascoltato con sorpresa, fra l’altro, dei servizi televisivi che annunciavano che abbiamo chiesto o stiamo per chiedere una perizia. Mi piacerebbe che fossero citate le fonti di queste notizie. In realtà, noi stiamo valutando tutti gli aspetti della vicenda, compresi quelli che riguardano la situazione psicologica e personale di Finn al momento del fatto, ma non solo questi. Non è quindi vero che abbiamo chiesto o stiamo per chiedere una perizia psichiatrica. Stiamo solo lavorando per cercare di capire tutto, anche al di là di eventuali versioni ufficiali. Questo è il nostro dovere verso Finn e verso il sistema giudiziario.

Il suo assistito è da quasi un mese nel carcere romano di Regina Coeli. Come sta vivendo questo periodo difficile di detenzione? Non conoscendo la nostra lingua, come avviene la sua socializzazione?

Credo che sia immaginabile il suo stato d’animo. Finn non è un violento, è un ragazzo di 19 anni: è sconvolto per quanto accaduto, non aveva compreso di trovarsi di fronte a dei carabinieri ed ora la detenzione è aggravata dalla completa non conoscenza della lingua italiana. Non credo che al momento possa darsi corso ad alcuna socializzazione, neanche con i compagni di cella.

I genitori del ragazzo che percezione hanno della nostra macchina giudiziaria?

I genitori hanno già espresso, negli Usa, il loro dolore per la vittima. Capisco umanamente che ciò possa non essere gradito, ma questo è il loro reale stato d’animo. Quanto alla vicenda giudiziaria, hanno rispetto per le autorità italiane e sperano che si possano chiarire alcuni elementi che davvero appaiono non chiari. Ovviamente il loro sistema giudiziario è differente, e stanno cercando di capire.

Rispetto ai primi momenti subito dopo il tragico evento e a seguito della confessione del vostro assistito, la dinamica dell'accaduto sembrava essere abbastanza chiara. Adesso invece sono in molti ad avere dei dubbi.

La stampa, in molti casi, ha espresso dei dubbi che ci sembrano molto pertinenti, su alcuni punti, dimostrando apprezzabile spirito critico. Anche il nostro compito è dubitare, e direi che molti elementi di fatto, alcuni riportati anche da alcuni mezzi di informazione, inducono a farlo. Con il collega Roberto Capra, però, stiamo cercando di capire tutti gli aspetti della vicenda e non è questo il momento di fare annunci ma di lavorare per comprendere.

Si tratta di un caso che fin dalle prime ore ha assunto tutte le caratteristiche di un futuro processo mediatico. Quali sono i rischi maggiori?

Tutti i rischi dei processi di questo tipo: qualcuno potrebbe voler fare processi pubblici, e farli di corsa. I tempi, le regole processuali e il rispetto dei diritti delle persone nei processi sono fondamentali per un processo giusto. Noi vorremmo “farlo” giusto, e nelle sedi deputate.