L’obbligo per la pubblica amministrazione di eseguire i provvedimenti del giudice rappresenta uno dei fondamenti dello Stato di diritto. La vicenda “Open Arms” è invece solo uno degli ultimi episodi in ordine di tempo dove l’amministrazione, in questo caso il Ministero dell’interno, si sottrae al dovere di eseguire i provvedimenti giurisdizionali.

Beniamino Caravita di Toritto, ordinario di diritto pubblico all’Università La Sapienza di Roma, esperto di diritto amministrativo e dal 2018 vice presidente dell’Associazione italiana costituzionalisti ( Aic), contattato da Il Dubbio, ricostruisce i problemi teorici e pratici che sono alla base di una situazione frequente.

“In molti casi vi sono inaccettabili resistenze della PA all’attuazione della sentenza, per ragioni politiche, per difficoltà di organizzare diversamente gli interessi. È però vero che talvolta non è facile eseguire la decisione. In linea generale in un sistema amministrativo sempre più complicato, le decisioni del giudice amministrativo si trovano ad incidere sulla discrezionalità della PA. In altri casi si contrappongono all’esecuzione del decisum giudiziario principi costituzionali di parti rango: tipica è la difficoltà che emerge nei rapporti tra giudici amministrativi e Consiglio superiore della Magistratura, che rivendica spazi di autonomia; ovvero nei rapporti con la costituzionalmente protetta autonomia universitaria”.

“Non è infatti infrequente – prosegue Caravita - che per dare esecuzione ad una sentenza si debba proporre un nuovo ricorso, il ricorso per l’ottemperanza, al giudice che emanato la sentenza, affinché provveda in tal senso. E, talvolta, per l’esecuzione della sentenza è necessaria la nomina di un Commissario ad acta”.

Proprio a conferma dell’esistenza di queste difficoltà, “il nuovo codice del processo amministrativo ha previsto come rimedio anche il ricorso per chiarimenti da parte della PA per chiedere al giudice come procedere per dare ottemperanza: quando il modo in cui ottemperare alla sentenza non è chiaro, ci si rivolge al giudice affinché lo indichi”.

Queste difficoltà, tuttavia, non vanno strumentalizzate per coprire “interessi diversi tesi a modificare la pronuncia del giudice, incidendo significativamente sulla stessa”.

Nei casi di non esecuzione del provvedimento, Caravita ricorda che possono configurarsi “responsabilità penali: il codice penale, all’articolo 650, prevede la disobbedienza all’ordine dell’autorità”. Si tratta, comunque, di una contravvenzione, con una modesta efficacia deterrente. E’ indubbiamente più incisivo l’aspetto della “responsabilità contabile, potendo il danno erariale nei confronti del funzionario pubblico che pervicacemente ostacola l’esecuzione della sentenza essere oggetto di giudizio promosso dalla Procura della Corte dei Conti”.

“Per superare la continua difficoltà di attuazione delle decisioni, e per superare ogni atteggiamento strumentale della PA, sarebbe necessario intervenire nel senso di una profonda semplificazione normativa che eviti la contemporanea presenza di disposizioni fra loro contrastanti; da chiarire sarebbe, ad esempio, il rapporto con la cosiddetta soft regulation di derivazione Anac, che è fronte di continua confusione”.

“Nelle nostre esperienze democratiche è se sempre più facile che al giudice sia delegata la soluzione dei problemi. Ma nei casi di confuse stratificazioni normative è sempre più difficile non solo decidere, ma anche dare alle decisioni corretta applicazione”, puntualizza Caravita.