“Pieni poteri”. La parola d’ordine con cui Salvini lancia il suo guanto di sfida dice qualcosa di lui e di chi lo vota. Ma dice anche qualcosa di noi, dell’idea che abbiamo - tutti quanti in Italia - della politica e del suo significato.

Per quelli della mia generazione il potere non era tanto il dispiegamento della propria influenza. Era anche il limite che a quella influenza veniva posto. C’era una sorta di inibizione nell’esercizio della supremazia politica. Come a dire che chi contava di più aveva anche un pò più paura di esagerare. E pertanto aveva quasi sempre cura di accompagnare la propria forza con la propria prudenza. Era una prudenza furba, eppure a suo modo virtuosa.

Ora quel limite viene posto in discussione. E’ la prima volta, credo, nella storia repubblicana. Evocare spettri antichi e non più attuali non avrebbe molto senso, credo. Ma prendere atto che c’è una novità al centro della scena pubblica diventa a questo punto del tutto doveroso.

Il potere non è più né rivestito dal pudore né accompagnato da una remora. Si offre a noi nudo e spavaldo. Non perché siano finite le mezze misure, quelle di una volta. Semmai, perché è finito il senso della misura. Cercare di ritrovarlo non sarebbe una cattiva idea.