FRANCESCO PRUDENZANO*

La Costituzione della neonata Repubblica all’art. 39 recitava così: “l’organizzazione sindacale è libera ed al sindacato non può essere imposto altro obbligo se non quello della registrazione. E’ condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica … e … possono stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria …”. Niente del genere fu mai attuato e, anche per questa anomalia, il sistema sindacale è ancora fermo sostanzialmente al 1948.

In assenza dell’attuazione della norma costituzionale, tutti i sindacati ( e per la verità anche i partiti) hanno operato come associazioni di fatto, non riconosciute, senza personalità giuridica, regolate solo dagli artt. 36- 38 del codice civile che rimanda la disciplina allo Statuto di ognuno, permettendo di essere svincolati da qualsiasi obbligo ( bilancio, obblighi fiscali, etc…) e, contemporaneamente, di essere considerati, nei fatti, come istituzioni della Repubblica, anche proprio per la presenza nella Carta Costituzionale.

Per tornare all’attualità, e anche per ragioni di brevità, le organizzazioni nate recentemente, tra cui Confintesa, sono state considerate estranee al mondo della rappresentanza e, con un meccanismo discriminatorio indotto, tenute artificiosamente fuori dal palcoscenico del mondo del lavoro privato.

L’ossimoro su cui ruota la rappresentatività sindacale è ” si è rappresentativi se si firmano i contratti” e “si firmano i contratti se si è rappresentativi”. Un corto circuito che ha poco a che vedere con il pluralismo e la libertà di scegliere da chi farsi tutelare e rappresentare. A ciò si aggiunge il metodo di rifiutare anche la trattenuta in busta paga, liberamente scelta da un lavoratore, ad iniziare proprio dalle grandi aziende di Stato.

Non posso dimenticare la risposta al responsabile delle relazioni industriali di una di queste grandi aziende alla mia domanda sul perché si rifiutassero di effettuare la trattenuta indicata dal lavoratore. Fu disarmante: “E non siamo mica una banca, che diamo soldi a destra e manca!”. È evidente l’esistenza di una microcultura della rappresentanza, becera e ignorante.

È la carenza di regole nel mondo del lavoro privato ( o la loro totale assenza) a far sì che le Organizzazioni sindacali si comportino come in una giungla. È questa carenza che produce quasi 900 contratti collettivi depositati al Cnel perché, se da una parte permette a piccoli o inesistenti sindacati di sottoscrivere contratti in dumping, dall’altra continua a mantenere blindato il fortino della rappresentanza di fatto e senza regole, ovvero senza libertà. Serve una regolamentazione della materia, che lasci libertà di scelta alla platea dei rappresentati di manifestare il consenso, in un regime iniziale di par condicio.

È indubbio che da molti anni i concetti di rappresentatività, maggior rappresentatività, maggior rappresentatività comparata, è stato falsato. Ed infatti non si può parlare in alcun modo di rappresentatività ( con qualsiasi aggettivo si voglia accompagnare) se non si introducono regole che superino lo status quo, cristallizzato all’immediato dopoguerra ignorando volutamente i mutamenti avvenuti riguardo, e regolamentino “l’offerta di rappresentanza” intervenuta in questi ultimi due decenni.

E così accade, con ritualità e ripetitività inconsapevole, che nel momento di convocare le parti sociali si scelga, volta per volta, le sigle da ascoltare sulla base di elenchi o brogliacci poco aggiornati o su segnalazione di uffici ministeriali. Il criterio della composizione del Cnel è altrettanto soggettivo in quanto, mancando una misurazione della rappresentanza, anche nel Cnel vige la regola della “partecipazione storica”, della autocertificazione e della autoreferenzialità, risultando composto spesso da sigle che rappresentano poco i lavoratori, ma fanno molta attività di lobbing e questo sistema è sempre più penalizzante per la dignità dei lavoratori che non si vedono più al centro e parte essenziale dell’attività sindacale per tutelare i propri diritti. Sono queste le motivazioni per cui Confintesa ha scritto al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, denunciando il fatto che “il Governo del cambiamento”, anche sotto l’aspetto delle relazioni con i sindacati, non ha modificato una logica che appartiene alla prima repubblica e che non è più rispondente alla reale volontà dei lavoratori che debbono avere il diritto di scegliersi i loro rappresentanti.

Pertanto, ogni iniziativa tesa a regolamentare basicamente i rapporti di lavoro e tra le parti sociali in modo libero, oggettivo e trasparente, è benvenuta e servirà a dare alla parola “Rappresentanza” la dignità che merita. Da lì, cesseranno tutte le polemiche sui rapporti tra istituzioni e parti sociali e si potrà avere un’autentica forma di rappresentanza del lavoro.

* Segretario Generale di Confintesa