Il mese scorso è tornato in auge, con il beneplacito di comuni piemontesi, la proposta di costruire un nuovo carcere nelle aree ex Acna. Si tratta in realtà di una proposta già esposta due anni fa - poi ripresa nel mese scorso - dall'ex sindaco di Cengio ( Savona) Sergio Marenco. Tutto è dovuto dalla chiusura, nel 2016, del carcere di Savona creando diverse difficoltà per lo smistamento dei carcerati obbligando il trasferimento nelle case circondariali di Marassi a Genova, Sanremo- Imperia o in Toscana. Il progetto – ancora non presentato - sarebbe sul modello della casa circondariale di Bolzano.

Francesco Dotta, il primo cittadino di Cengio, si dice convinto per la candidatura della sua amministrazione per la realizzazione del carcere. Ma è una buona idea? Per alcune associazioni ambientaliste, compresa Antigone che si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale, l’idea è pessima. Perché? Parliamo di terre fortemente inquinate, dove la bonifica non è tuttora completata, frutto di un disastro ambientale, forse uno dei più terribili che ha coinvolto l’Europa.

E L’INQUINAMENTO RITORNÒ A GALLA A fine novembre 2016, un periodo di piogge intense è culminato con una grande piena dei corsi d’acqua del Piemonte meridionale. In alcuni fiumi la piena ha assunto carattere di vera e propria alluvione, testimoniata anche dall’emergenza in termini di protezione civile che ha caratterizzato quei giorni. Gli abitanti del posto hanno testimoniato la presenza di un odore acre, a tratti nauseabondo. L’alluvione è stata così dirompente che interi tratti di fascia ripariale sono rimasti stravolti e persino distrutti, con abbattimenti di alberi anche di grosse dimensioni. Inoltre, i sedimenti fluviali sono stati depositati nell’ampia fascia pianeggiante ai lati del fiume e grazie alla colorazione diversa del suolo dei terreni agricoli sono rimasti chiaramente visibili anche per diversi mesi dall’evento alluvionale. Da più parti sono state fatte segnalazioni di odori caratteristici dei sedimenti tipicamente associati alla pluridecennale vicenda dell’ex- Acna. In quell’anno, quindi, è ritornato a galla la memoria storica del grande disastro ambientale. Il 23 luglio di più di 30 anni fa una grande nube tossica si sollevò dallo stabilimento Acna di Cengio: in poche ore raggiunse numerosi comuni sul confine tra Liguria e Piemonte, causando intossicazioni e forti preoccupazioni tra la popolazione. La fuoriuscita di gas tossici era solo l’ultima di una lunga serie di incidenti e danni ambientali causati dall’Acna, contro la quale si battevano da tempo i comuni della val Bormida, valle che dall’entroterra di Savona si estende fino al Basso Piemonte lungo il corso del fiume Bormida. La vicenda dell’Acna e dei decenni che furono necessari per riuscire a chiuderla è esemplare nella storia dell’ambientalismo in Italia: l’incidente del 1988 contribuì alla fine dello stabilimento nel 1999, mentre i danni ambientali per la val Bormida e i suoi comuni sono evidenti ancora oggi.

LA FABBRICA DELLA MORTE L’Acna nasce a Cengio nel 1882, col nome di Dinamitificio Barnieri e cresce nei primi anni del novecento. E fin da subito colora di ruggine il fiume Bormida. Nel 1912 produce 750 tonnellate di dinamite, buona parte delle quali scaricate sulla popolazione libica nella omonima campagna coloniale. E alla grande espansione corrisponde la grande carneficina, la Prima guerra mondiale. È all’Acna di Cengio che si fabbricano acido nitrico, fenolo, tritolo, acido pricrico, balistite. Poi, nel dopoguerra, coloranti e intermedi. Nel 1916 dall’impianto di acido picrico si scaricano nel fiume cinquanta metri cubi al giorno di acque di lavorazione. L’inquinamento si distende per settanta chilometri a valle della fabbrica. La certezza dell’inquinamento causato dalla produzione Acna emerge fin dal 1950. Ma è dai primi del novecento che il cancro alla vescica è considerata malattia professionale per chi lavora i derivati dell’anilina.

Nel libro Un giorno di fuoco, del 1963, lo scrittore Beppe Fenoglio descriverà così il fiume che raccoglieva gli scarti dell’industria: «Hai mai visto Bormida? Ha l’acqua color del sangue raggrumato, perché porta via i rifiuti delle fabbriche di Cengio e sulle rive non cresce più un filo d’erba. Un’acqua più porca e avvelenata, che ti mette freddo nel midollo, specie a vederla di notte sotto la luna».

Nel 1925 l’Italgas rileva l’impianto per renderlo una fabbrica di coloranti, nel 1929 il regime fascista rende lo stabilimento uno dei centri dell’immensa Acna ( Aziende Chimiche Nazionali Associate), ma nonostante l’intervento del Governo il progetto è un fallimento e nel 1931 l’Acna viene svenduta alla Montecatini. L’Acna mantiene lo stesso acronimo, ma diventa “Società anonima colori nazionali affini” e poi “Aziende Colori Nazionali e Affini”.

A parte la parentesi della Seconda Guerra Mondiale, che vede l’Acna tornare alla produzione bellica, il centro di Cengio diventa un importante polo chimico dell’Italia repubblicana, con una storia che nei decenni successivi vede contrapposte da un lato le proteste degli abitanti della valle per i livelli insostenibili di inquinamento e dall’altra un fronte compatto di politica, industria e sindacati, più attenti alla tutela dei posti di lavoro.

TRA VICENDE GIUDIZIARIE E INTERVENTI GOVERNATIVI Nel 1938 l’Acna viene citata in giudizio dagli agricoltori della Valle del Bormida, tuttavia nel 1959 il Servizio idrografico di Genova ha stabilito che le acque sia pure inquinate non provocavano danni all’attività agricola e nel 1962 il processo si conclude dando torto ai contadini e condannandoli al pagamento delle spese processuali. Alla fine degli anni 60 l’acquedotto di Strevi viene chiuso, le sue acque si tingevano di colore diverso ogni giorno, nel 1970 il sindaco di Aqui Terme sporge una denuncia contro ignoti per l’avvelenamento delle acque per il consumo umano. Nel 1974 viene iniziata un’azione penale contro 4 dirigenti dell’Acna, ma verranno assolti 4 anni dopo. Con la promulgazione della Legge Merli “norme e tutela delle acque dall’inquinamento” del 1976, spuntò fuori la denuncia che l’Acna avrebbe iniziato a disfarsi dei rifiuti di nascosto e ad alterare le concentrazioni. La legge 426/ 98 “Nuovi interventi in campo ambientale” ha inserito il sito dell’Acna dei Siti di Interesse Nazionale ( Sin), portando alla chiusura definitiva della fabbrica nel 1999, dopo più di 100 anni di attività.

Nel 2000 la Commissione Parlamentare d'inchiesta sui rifiuti ha accertato che una quantità di rifiuti dell’Acna pari a 800 mila tonnellate è stata smaltita illegalmente nella discarica di Pianura, nella periferia di Napoli. Si è avviata una bonifica che nell’ottobre del 2010 viene data per terminata dall’allora ministra Stefania Prestigiacomo, dal governatore della regione e dall’ ex numero uno della Protezione civile Guido Bertolaso. Ma non è così. La conferma è arrivata direttamente dal sito di Eni- Syndial ( società proprietaria dell’area dell’Acna), dove, nell’elenco dei principali interventi di bonifica in corso, si trova anche quello di Cengio, con la dicitura: «Completamento della bonifica del sito, mediante capping della zona A1». Il sito di Syndial indica anche quali sono i tempi per portare a termine gli interventi e li fissa all’inizio del 2020, ossia a dieci anni dall’annuncio di fine bonifica da parte di Stato e Regioni. Syndial chiarisce inoltre quanto è costata finora quella che l’allora ministro dell’Ambiente Willer Bordon nel 2000 definì «La madre di tutte le bonifiche». Al 30 settembre del 2018 il costo dell’operazione era di 330 milioni di euro e Syndial stima di spenderne altri 5 per terminare i lavori. Più del doppio dei 300 miliardi di lire previsti vent’anni fa. Resta il fatto che c’è una discarica dove sono radunati i rifiuti industriali dell’impianto e c’è chi vorrebbe costruirci vicino un nuovo carcere.