«La norma sull’azione disciplinare a carico dei magistrati in caso di ingiusta detenzione potrebbe, a questo punto, essere inserita all’interno della riforma della giustizia». Ad affermarlo al Dubbio è l’onorevole Enrico Costa, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia a Montecitorio e promotore della proposta di legge bocciata il mese scorso dal Parlamento.

L'ITER DEL PROVVEDIMENTO Il ministro della Giustizia, il pentastellato Alfonso Bonafede, si sarebbe infatti dimostrato possibilista ed eviterebbe di dover aspettare i 6 mesi previsti dal regolamento della Camera per poter ridepositare un testo non approvato dall’Aula.

Il testo originale modificava gli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale, prevedendo che l’ordinanza che dispone il risarcimento di una persona che sia stata ingiustamente in carcere venga inviata in automatico al ministro della Giustizia e, in caso di gravi violazioni, anche al procuratore generale della Cassazione perché valuti l’avvio dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato.

Il testo aveva avuto un iter “beffa”: approvato lo scorso 19 giugno all'unanimità in commissione Giustizia alla Camera, la settimana successiva era stato sonoramente bocciato dall’Aula. 242 voti contrari, 100 assenti e 5 franchi tiratori tra gli esponenti della maggioranza.

Una doccia fredda per Costa che, dopo il voto in commissione, aveva ricordato come «dal ’ 92 ad oggi 27mila persone sono state arrestate ingiustamente e risarcite per una cifra complessiva che supera gli 800 milioni di euro. Ora sarà possibile promuovere l’azione disciplinare nei confronti di quei magistrati responsabili di ingiuste detenzioni».

Cosa aveva dunque fatto cambiare idea alla maggioranza di governo nello spazio di una settimana? Ufficialmente nulla, considerando il fatto che la discussione in commissione era stata articolata e molto approfondita: fra gli auditi anche i giornalisti Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, creatori del sito errorgiudiziari. com, il portale che da anni raccoglie i casi di ingiusta detenzione. E allora?

LO SCONTRO CON L'ANM I maliziosi ricordano, 36 ore dopo il voto all’unanimità in commissione, un lungo comunicato dell’Associazione nazionale magistrati con cui veniva annichilita la riforma voluta da Costa. Le ragioni poste alla base della proposta, spiegavano i magistrati, «laddove suggeriscono un accostamento non accettabile tra provvedimento giurisdizionale non confermato nei gradi successivi e grave violazione di legge da parte dei magistrati, tradiscono la mancanza di consapevolezza della inevitabile complessità del procedimento penale».

«La modifica proposta - secondo l'Anm - è inutile e può costituire un rischio di condizionamento nell’adozione di iniziative cautelari in palese contrasto con l'invocata necessità di un maggiore severità a tutela della sicurezza dei cittadini. Il nostro ordinamento - sottolineavano infine le toghe - già prevede efficaci strumenti per l'accertamento di eventuali errori e un rigoroso sistema di responsabilità civile e disciplinare». Parole che, evidentemente, hanno fatto presa sulla maggioranza parlamentare.

Voci contrarie, ma per motivi diversi, si erano però levate anche da parte di chi quotidianamente si occupa di risarcimenti per ingiusta detenzione.

Per l’avvocato Baldassarre Lauria, direttore della Fondazione Giuseppe Gulotta per le vittime della giustizia, la riforma sarebbe stata comunque «inutile». Questo perché già oggi il 90 per cento delle indebite detenzioni non viene più risarcito sul presupposto che il sottoposto a cautela ha «contribuito» colposamente all’errore. Vedasi i casi di Raffaele Sollecito o Digo Olivieri, l’imprenditore vicentino che con la sua storia ha aperto la serie televisiva Rai “Sono innocente”.

La vera battaglia, a detta di tutti, dovrà pertanto essere quella di sganciare la riparazione dalle eventuali “colpe” dell’arrestato, spesso delle normali strategie difensive, come quella di avvalersi della facoltà di non rispondere.