«Vuoi mangiare tutti i giorni? Non basta essere bravo: se diventi molto bravo, forse; se lo sei molto molto, hai qualche chance, ma l’unico modo per esserne sicuro è diventare il numero uno. E per esserlo devi alzarti ogni mattina pensando che puoi farcela».

Così parlò Franky Zapata, marsigliese, pluricampione di moto d’acqua, 40enne di carattere, nuovo eroe dei cieli di Francia: partito domenica da una piattaforma sulle dune di Bleriot Plage è atterrato sulle rocce inglesi di St Margaret’s Bay ventidue minuti dopo, volando sulla Manica a 160 chilometri all’ora grazie al suo flyboard, plancia a microreattori.

Accade in una luminosa mattina di agosto nel Nord- Pas- de- Calais. Poco dopo le otto, Zapata si lancia in aria ed è già l’orgoglio di centinaia di persone accorse alle prime ore dell’alba per questo secondo tentativo ( il primo era fallito il 25 luglio): nonni e nipoti, ciclisti, Julien e Alma con i loro due cani, “Jean- Pierre detto JP” esultante davanti alle tv, turisti, gente che socializza mangiando un panino, gli occhi infilati nei binocoli o incollati allo smartphone per cogliere l’attimo che è già storia. Franky sorride da lontano prima di indossare tuta e casco nero, tra il rumore assordante degli elicotteri e l’odore acre di kerosene, quando scattano gli applausi per lui, il sempre più popolare Zapata, convinto che l’esempio migliore per chi pensa di non farcela nella vita sia proprio tentare una sfida, come si può fare oggi sapendo gestire bene la tecnologia disponibile. Può, perché è uno che si è fatto da sé «combattendo contro i migliori», che sorride felice citando il figlio di dieci anni e la moglie, Krystelle, che non solo lo sostiene ma è una delle colonne del solidissimo Team Zapata. A dare la notizia della riuscita, domenica tra le lacrime a Sangatte è stata lei, come anche in conferenza stampa al fianco di un emozionatissimo Franky, crollato per la tensione.

Teso lo era anche alla vigilia, quando però sentiva di “aver fatto il possibile”, adottando la strategia giusta e che per questo ce l’avrebbe fatta. Per una ragione in fondo «semplice» : dietro c’è una squadra e c’è stato tanto lavoro. Ecco la parola d’ordine dell’uomo volante, la stessa da una vita: il lavoro, quello duro, che ti premia. Per lui, orgoglioso di aver trovato la sua strada inventando oggetti anche senza una carriera “certificata” da ingegnere – la scuola l’ha lasciata a sedici anni – «nella vita ci vogliono sogni da inseguire, la forza e il coraggio dell’impegno. Non c’è l’uno senza l’altro, niente è regalato», vale per oggi e per il domani dice, annunciando che la macchina volante è già qui. E il futuro è un po’ anche quello del signor Julien P., emozionato spettatore di domenica su quella spiaggia: «Non potevo non esserci, è come venticinque anni fa quando lavoravo per costruire l’EuroTunnel: il futuro allora era scavare sotto terra oggi è guardare in alto in questo cielo».