Con ordinanza del 17 luglio il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha disposto che la pena inflitta dalla Corte di Appello di Milano nei confronti di Roberto Formigoni per corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio venga espiata in regime di detenzione domiciliare, ex articolo 47 ter, comma 01, dell’Ordinamento penitenziario, trattandosi di condannato ultra settantenne. Per chi ama la libertà, ancorché limitata alle mura domestiche, è una buona notizia.

Tuttavia, affinché non resti un non detto, occorre fare chiarezza. Sulle pagine di Repubblica Luigi Manconi ha affermato che è possibile, sia pur “faticosamente”, difendere l’indifendibile, “in nome della forza del diritto e dei principi del garantismo”. Ci permettiamo di osservare come non sia affatto faticoso rispettare la Legge, e così anche che non vi sono indifendibili ( neanche quelli definitivamente condannati), per la buona ragione che le regole valgono per tutti; le regole, però.

Ha invece ragione Luigi Manconi quando deplora l’argomentazione populista ( quasi un ossimoro) per la quale l’uguaglianza andrebbe praticata al ribasso, e dunque anche il Celeste, come i suoi ( non pochi) coetanei detenuti, avrebbe dovuto scontare la pena per intero in carcere ( o, se si preferisce, marcire in galera – strano, ma in questo caso non si è levata voce dal Viminale). Infine, e questo è ciò che ci preme evidenziare, Manconi sbaglia quando sostiene che il provvedimento milanese è corretto (“ legittimo”, certo, ma “previsto dall'ordinamento giuridico”, no). Vediamo perché.

Il ragionamento del Tribunale milanese è il seguente: la Legge 3 del 2019 si applica anche se i fatti son stati commessi molti anni prima ma non occorre sollevare questione di legittimità costituzionale ( come fatto da altri Giudici, anche di legittimità), dovendosi valutare se il condannato abbia prestato attività di collaborazione con la Giustizia, o se la stessa debba essere ritenuta impossibile o inesigibile, ai sensi del comma 1 bis dell’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario. Una volta accertato questo, l’ostatività verrebbe meno, e dunque l’ex presidente della Regione potrebbe accedere alla misura richiesta, la detenzione domiciliare per ragioni di età, “peraltro l’unica misura alternativa praticabile” ( per il quantum di pena inflitta e da espiare), sostiene il Collegio. Non è così.

E infatti, il Tribunale non spiega ( neanche in un obiter) come sia possibile superare l’espressa esclusione apposta alla concessione della misura dal primo comma dell’articolo 47 ter comma 01 Ordinamento penitenziario ( introdotta, assai prima della recente Legge 3/ 2019, dalla Legge ex Cirielli), che per l’appunto ( così come tante disposizioni dell’Ordinamento penitenziario) pone preclusione per i condannati per delitti di cui all’articolo 4 bis ( tra i quali oggi, in virtù stavolta proprio della Legge 3/ 2019, anche l’articolo 319 del Codice penale, il reato attribuito a Formigoni). Era, questo, il tentativo riformatore e apotropaico percorso dalle Commissioni Ministeriali dei cosiddetti Stati generali dell’esecuzione penale ( liberare le misure alternative dalle ostatività e dai tipi di autore), come noto fallito sulla linea di arrivo.

L'unica strada percorribile, chiara, corretta, sarebbe stata quella di sollevare questione di legittimità costituzionale, o chiedendo una sentenza ablativa dell’articolo 47 ter comma 01 ( eliminando la preclusione del 4 bis introdotta a suo tempo dalla ex Cirielli), o una sentenza additiva della norma ( che aggiunga ad essa quanto previsto dal comma 1 bis dell’articolo 4 bis, così applicando anche alla detenzione domiciliare il meccanismo della collaborazione impossibile).

Poiché risulta “immanente al vigente sistema normativo una sorta di incompatibilità presunta con il regime carcerario per il soggetto che abbia compiuto i settanta anni” ( Cassazione, Sez. I, 12.2.2001, n. 16183), l’irragionevolezza del divieto e la conseguente violazione dell’articolo 27 comma 3 della Costituzione ( giacché una incarcerazione irragionevole impedisce l’efficacia rieducativa della pena) avrebbero dovuto essere denunciati, così determinando la pronuncia della Consulta nell’interesse di tutti. Questa, ci pare, la strada da seguire, per conferire ragionevolezza al sistema, per dare parità di condizioni, rivendicandone le ragioni.

Ma, come scriveva Fabrizio De Andrè, “si rannicchiano zone d'ombra, prima che il sole le agguanti”.

* avvocato