Dismette il doppiopetto dell’Authority e torna ad indossare la toga. Si conclude così la parabola di Raffaele Cantone al capo dell’Anticorruzione e con lui potrebbe finire anche la stagione dell’Anac. Istituita con la legge Severino e attivata dal governo Renzi nel 2014, non è mai veramente andata a genio al nuovo Esecutivo e il presidente uscente ha avuto più di un punto di frizione con il governo.

Proprio a causa di questi continui contrasti, Cantone ha deciso di chiudere in anticipo il suo mandato: «Dopo oltre cinque anni, sento che un ciclo si è definitivamente concluso, anche per il manifestarsi di un diverso approccio culturale nei confronti dell’Anac e del suo ruolo». Parole che fanno fischiare le orecchie a più di qualcuno al governo.

Ritorno alla toga Ora Cantone ha formalizzato la richiesta di «rientrare nei ruoli organici della magistratura: un atto che implica la conclusione del mio mandato di Presidente dell’Anac, che diverrà effettiva non appena l’istanza sarà ratificata dal plenum del Csm». Il magistrato tornerà quindi all’Uffico del massimario presso la Corte di Cassazione, lasciato cinque anni fa.

Un ruolo, quello di magistrato, che Cantone ha sempre sentito proprio, molto più di quello all’Authority: «Ho trascorso metà della vita indossando la toga, divenuta nel tempo una seconda pelle. Ho sempre considerato la magistratura la mia casa, che mi ha consentito di vivere esperienze straordinarie dal punto di vista umano e professionale, a cominciare dal periodo alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli», ha scritto nella sua lettera pubblicata sul sito dell’Anac, che è stato dunque «una parentesi, per quanto prestigiosa ed entusiasmante». Ecco spiegata, dunque, la presentazione mesi fa di una sua candidatura per incarichi direttivi presso tre uffici giudiziari.

Un momento difficile per i magistrati Dalle parole di Cantone emerge una ulteriore volontà, che si intreccia con la difficile fase del Consiglio Superiore della Magistratura a causa dell’inchiesta Palamara. «Credo sia giusto rientrare in ruolo in un momento così difficile per la vita della magistratura», ha scritto il magistrato, che ha definito la sua impossibilità a «partecipare concretamente al dibattito interno» una «insopportabile limitazione».

Addirittura, si definisce «un giocatore costretto ad assistere dagli spalti a un incontro decisivo: la mia indole mi impedisce di restare uno spettatore passivo, ancorché partecipe». Dunque, ecco spiegata la ragione dell’addio, che tuttavia rimane duplice: da un lato la voglia di giocare un ruolo nella fase di ricostruzione del Csm; dall’altro la sensazione di essere considerato un peso dal governo.

«L’Autorità nazionale anticorruzione, istituita sull’onda di scandali ed emergenze, rappresenta oggi un patrimonio del Paese. Sono circostanze che dovrebbero rappresentare motivo di orgoglio per l’Italia, invece sono spesso poco riconosciute come meriterebbero». Un sassolino dalla scarpa non di poco conto, soprattutto se riferito a un governo che ha fatto della lotta alla corruzione una bandiera con il dl Spazzacorrotti.

«Naturalmente la corruzione è tutt’altro che debellata ma sarebbe ingeneroso non prendere atto dei progressi, evidenziati anche dagli innumerevoli e nient’affatto scontati riconoscimenti ricevuti in questi anni dalle organizzazioni internazionali e dal significativo miglioramento nelle classifiche di settore», conclude polemicamente Cantone.

Il silenzio del governo Sul fronte opposto del governo, nessuno si è stracciato le vesti: se le agenzie si riempiono di accorati ringraziamenti da parte della galassia politica del Pd, nessuno dei rappresentanti della maggioranza spende una parola per commentare la notizia. Tranne la ministra della Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, che non nasconde la sua diversità di vedute con il presidente dimissionario: «Alcune linee guida e regolamenti dell'Anac non riuscivano a coniugare l'esigenza della trasparenza con quelle dell'efficienza e della rapidità: io l'avevo segnalato a Cantone che si doveva lavorare per snellire. Se per prevenire tutto blocchiamo tutto, non si fa niente». Forse proprio in queste parole sta tutta l’incomunicabilità tra l’Anac cantoniana e il governo gialloverde.

Ora, si apre la partita della nomina per la successione oppure lo smantellamento dell’Autorità. Sospetto che assomiglia a una quasi certezza e già serpeggia tra le fila dell’opposizione, con l’accorato appello di Zingaretti: «Mi unisco alle preoccupazioni di quanti temono che questo governo voglia liquidare in fretta l’esperienza di Cantone all’Anac. Sappiano che il Pd si opporrà a questo disegno pericoloso». Se il secondo tempo di Cantone- magistrato sta per cominciare, la partita di Anac potrebbe essere già finita.