De Raho vs Di Matteo Si terrà martedì prossimo al Consiglio superiore della magistratura il tanto atteso chiarimento fra Nino Di Matteo ed il suo capo, il procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho.

Il “faccia a faccia” è stato voluto dalla Settima commissione di Palazzo dei Marescialli, competente per l’organizzazione degli uffici giudiziari, presieduta dalla togata di Magistratura indipendente Loredana Miccichè. Cafiero De Raho dovrà spiegare per quale motivo ha “rimosso” Di Matteo dal pool che si occupa delle indagini sui mandanti occulti delle stragi dei primi anni ‘ 90.

I motivi della rimozione Ufficialmente il motivo del trasferimento ad altro incarico sarebbe dovuto al fatto che il pm del processo Trattativa Stato- mafia ha raccontato, durante una trasmissione televisiva, alcuni dettagli, ritenuti di interesse investigativo, di vicende giudiziarie passate.

In particolare, la presenza di un guanto con tracce di Dna femminile e di un foglietto con il numero di un funzionario dei servizi segreti, trovati sul luogo della strage di Capaci, il 23 maggio 1992.

Poi che Pietro Rampulla, l’uomo che fornì il telecomando per la strage, era un estremista di destra. Ed infine l’interesse di Giovanni Falcone per gli elenchi di Gladio. Tutti elementi, come detto, non nuovi alle cronache.

La solidarietà al Pm Di Matteo, nelle scorse settimane, aveva incassato la solidarietà di oltre un centinaio di colleghi, firmatari di un appello al presidente della Repubblica, nella veste di presidente del Csm, al vicepresidente dello stesso organo, il dem David Ermini, ed a tutti i consiglieri.

Le toghe auspicavano che il suo allontanamento dal pool potesse trovare una “bonaria” composizione nelle sedi competenti. «Pur non avendo intenzione di sindacare un provvedimento che, peraltro, non è stato diffuso nel dettaglio e che neppure conosciamo, né volendo in alcun modo ingerirci nelle competenze procuratore nazionale Antimafia, sentiamo tuttavia l’esigenza di esprimere il forte turbamento che la notizia dell’estromissione del collega ha provocato in tutti noi», scrissero le toghe pro Di Matteo.

«Non solo - precisarono - per la stima e l’ammirazione che riponiamo nei confronti di Di Matteo, per lo spirito di abnegazione, i sacrifici personali e familiari, l’elevato senso delle Istituzioni, l’eccelso grado di professionalità e l’equilibrio, che lo hanno contraddistinto in tutta la sua carriera e che ne fanno uno dei magistrati più in grado di trattare la materia in questione, ma soprattutto perché temiamo che tale estromissione possa delegittimarlo agli occhi della criminalità e del potere mafioso, acuendo ulteriormente i già elevatissimi rischi per la sua incolumità».

Nuovo ruolo per Di Matteo Martedì sarà quasi sicuramente l’ultima volta che Di Matteo entrerà al Csm da magistrato in servizio in un ufficio giudiziario. Candidato alle elezioni suppletive di ottobre per completare la compagine togata in Plenum rimasta vacante di due consiglieri dopo le dimissioni dei pm Luigi Spina ( Unicost) e Antonio Lepre ( Magistratura indipendente), la sua elezione pare quasi certa.

Degli undici candidati, a parte i meriti professionali, è certamente il più noto. E con un sistema elettorale basato sul collegio unico nazionale ciò non guasta. All’inizio della carriera simpatizzante per le toghe progressiste dei Movimenti per la giustizia, adesso confluite insieme a Magistratura democratica nel raggruppamento Area, si spostò successivamente al centro.

Candidato ed eletto nelle liste di Unicost - la corrente centrista di cui per anni è stato leader indiscusso Luca Palamara - alla Giunta dell’Associazione nazionale magistrati di Palermo, ne divenne il presidente per un intero mandato. Negli ultimi tempi si è avvicinato ad Autonomia& Indipendenza, la corrente fondata dal’ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo e di cui sarà l’unico candidato.

Di Matteo è già stato candidato anche per ruoli politici di prestigio. I grillini lo volevano ministro dell’Interno. “Non rispondo su un eventuale mio impegno politico, ma non sono d’accordo con chi pensa che l’esperienza di un magistrato non possa essere utile alla politica”, disse allora il pm. Insediatosi il governo gialloverde, si era pensato a lui come capo del Dap. Ma l’opzione sfumò.