La tanto attesa decisione della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura è arrivata: il pm romano Luca Palamara è sospeso dallo stipendio e dalle funzioni. La disciplinare ha quindi accolto in pieno l’istanza del procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, che aveva chiesto per l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e, fino allo scorso settembre, potente consigliere del Csm, la sanzione cautelare massima prevista dall’ordinamento per un magistrato.

Il provvedimento, 34 pagine, è stato depositato ieri mattina dopo che il collegio, presieduto, a seguito dell’astensione di David Ermini, da Fulvio Gigliotti, laico eletto in quota M5s, si era riservato al termine dell’udienza di martedì scorso. La sospensione cautelare blocca con effetto immediato le altre procedure in atto nei confronti di Palamara: si ferma così sia l’eventuale trasferimento per incompatibilità ambientale e funzionale, e sia la domanda di trasferimento “in prevenzione” come giudice al Tribunale dell’Aquila. Palamara, indagato a Perugia per corruzione, durante il periodo di sospensione riceverà una sorta di assegno “alimentare”, pari a poco più di un terzo dello stipendio. La legge non prevede limiti di durata della sospensione. Ci sono casi di magistrati che sono rimasti sospesi per lunghi periodi. Che la decisione del Csm fosse in qualche modo attesa era stato lo stesso Palamara a confidarlo agli amici più stretti.

Lasciato solo da tutti, “scaricato” dalla mattina alla sera dalla sua corrente, Unicost, che aveva contribuito a far crescere, non aveva trovato nessun collega disposto ad assisterlo davanti alla disciplinare. «Errori sicuramente sono stati commessi, ma facevo parte di un sistema», aveva sottolineato, ricordando i tanti colleghi che si erano rivolti a lui negli anni per avere un incarico. Ed infatti non era infrequente vedere una schiera di magistrati aspettarlo fuori dal Csm, sui marciapiedi di piazza Indipendenza, per prendere un caffè con lui nel bar Florian. Tante toghe che gli segnalavano la propria candidatura confidando in un suo aiuto.

Il 9 luglio scorso Palamara aveva preso la parola davanti alla sezione disciplinare del Csm: «Non ho mai svenduto le mie funzioni di magistrato né ho gettato discredito sui colleghi», aveva detto. Era stata respinta la richiesta di ricusazione dei togati di Autonomia& Indipendenza Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita. Fuzio, indagato anch’egli a Perugia, era rappresentato, dagli avvocati generali della Cassazione Pietro Gaeta e Luigi Salvato. Al centro dell’accusa ci sono i rapporti di Palamara con l’imprenditore Fabrizio Centofanti, da cui avrebbe ricevuto del denaro affinché venisse nominato procuratore di Gela Pietro Longo, poi arrestato per altre vicende. Palamara ha rivendicando quell’amicizia, spiegando che anche altri magistrati hanno frequentato l’imprenditore.

E ha escluso di aver fatto “dossieraggio” su altri magistrati, a cominciare dal procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, come invece gli contestava l’accusa, la quale con Luca Lotti avrebbe discusso delle «possibili strategie di discredito» nei confronti del pm titolare dell'inchiesta Consip, e avrebbe tenuto un «comportamento gravemente scorretto» nei confronti dei colleghi che si erano candidati per il posto di procuratore di Roma, sempre per aver discusso con l’esponente del Pd, oltre che con alcuni consiglieri del Csm, «della strategia da seguire ai fini della nomina». «Non è configurabile alcuna possibile prosecuzione dell’attività, per la gravità dei fatti e la notorietà della vicenda che ha irrimediabilmente compromesso la credibilità ed il prestigio dell’incolpato», si legge nel provvedimento. «I fatti – prosegue - si sono protratti sino a maggio 2018 e sono di un tale consistenza, pervasività e reiterazione». Utilizzabili, infine, le intercettazioni con i deputati dem, Cosimo Ferri e Luca Lotti, essendo “casuali”. Il difensore di Palamara, l’avvocato Benedetto Marzocchi Buratti, ha già dichiarato che impugnerà il provvedimento davanti alle sezioni unite della Cassazione. Ed il diretto interessato? » Mi difenderò nel processo», il laconico commento.