Un nuovo atto del processo mediatico è andato in scena nella serata di mercoledì, in attesa che la Cassazione si pronunciasse sul ricorso di Antonio Logli, condannato per l’omicidio e distruzione del cadavere della moglie Roberta Ragusa. Alcuni programmi televisivi hanno fornito ai telespettatori una scandalosa spettacolarizzazione del dolore, soprattutto dopo che dal Palazzaccio è arrivata la notizia che il ricorso della difesa era stato dichiarato inammissibile e dunque per l’uomo si sarebbero aperte le porte del carcere, dove resterà per 20 anni. Da quel momento è iniziato un vero “reality show” come lo hanno stigmatizzato la Giunta e l’Osservatorio sull’informazione giudiziaria dell’Unione Camere Penali: vi è stata una “incursione violenta delle telecamere per cogliere il dolore degli anziani genitori di Logli – scrivono i penalisti - e cercare di catturare qualche immagine dall’esterno del B& B nel quale l’ormai condannato si trovava” insieme alla figlia e alla fidanzata. Addirittura una cronista ha registrato il pianto di disperazione della compagna dell’uomo, che era chiusa in una stanza dell’affittacamere, e lo ha mandato dopo poco in diretta. Il conduttore della stessa trasmissione ha applaudito il cameraman che nella tensione di cogliere ogni attimo si focalizzava con la telecamera in testa sulla finestra e sull’ingresso del B& B, pronto ad immortalare il volto del condannato, una volta uscito dal suo rifugio. Un sottufficiale dei Carabinieri ha avuto però l’accortezza di far coprire il viso a Logli e la delusione negli studi televisivi è diventata palese. Nulla su cui eccitarsi in studio. Sì, perché la dis- informazione giudiziaria è caratterizzata in maniera distorta dal sensazionalismo, dal voyeurismo e persino dal pornografico, fanno notare molti studiosi. Ciò “rappresenta – aggiungono dall’UCPI - senza dubbio l’atto finale di una commedia umana, dove il rispetto delle dignità delle persone viene barattato per accrescere l’audience'. Per fortuna che il procuratore generale di Pisa ha imposto, proprio per evitare altra spettacolarizzazione, che Logli venisse tradotto nel carcere di Livorno e non in quello di Pisa, dove erano già appostate altre telecamere per immortalare l’uomo nel suo ultimo attimo oltre il muro della pena. “Noi non conosciamo gli atti – concludono dall’Osservatorio - comprendiamo, in ogni modo, la soddisfazione che le parti civili, convinte della sua responsabilità, possono legittimamente provare. Nessuno però doveva avere diritto di compiacersi del dolore altrui”.