La modernità si sta consumando nelle contraddizioni che ha attivato e coltivato con maniacale spregiudicatezza. Assecondando “magnifiche sorti e progressive” allo sviluppo senza limiti della tecnologia, ha favorito l’ampliamento dei bisogni fittizi a scapito di quelli reali.

Abbiamo la necessità di essere interconnessi con il mondo intero ventiquattr’ore su ventiquattro, di dedicarci ad esotismi estetici e modaioli soltanto perché il “mito” della globalizzazione dei costumi ce lo impone, di assecondare tutte le imbecillità che quotidianamente partoriscono gli “influencer” attraverso You Tube ed i più sofisticati social? Ragionevolmente mi sembra proprio di no. Ammettiamolo: viviamo di una bolla virtuale di inutilità reali che monopolizzano la nostra vita. E, distratti, trascuriamo di prendere contezza che la vita è altrove.

È nella carenza di acqua, per esempio, che affligge una parte considerevole dell’umanità, come ci ha ricordato nel suo articolo sul Dubbio Maurizio Montalto, ormai nelle mani di privati che teoricamente ( ma non tanto, come avviene in disastrate regioni dei Pianeta) possono chiudere o aprire i rubinetti a loro piacimento.

È nell’emergenza dell’ignoranza, testimoniata in Italia dai recenti test Invalsi, ma documentata da Ernesto Galli della Loggia nel suo aureo ( e drammatico) saggio L’aula vuota ( Marsilio) nel quale si tocca mano l’abisso nel quale la scuola è precipitata. È nella scarsità delle risorse alimentari che come una sorta di carestia biblica affligge i due terzi dell’umanità, mentre un terzo - il nostro primo ed opulento mondo che non ha spazio per i “dannati della Terra” - sperpera al punto di produrre quintali pro capite di “scarti” di immondizia costituiti per la più parte da avanzi che sfamerebbero miliardi di esseri umani.

È nel clima violentemente mutato a causa nostra essenzialmente, dando per scontato che è nelle sue dinamiche prodursi in forme nuove ( e non sempre disastrose) nel corso dei millenni, che rende la vita faticosa e talvolta impossibile, a noi sulle spiagge a ai monti, a tantissimi altri che fuggono la desertificazione - ed ora perfino i ghiacciai polari - che non commuove nessuno, neppure i colonialisti che hanno “riscoperto” l’Africa come risorsa per imporre stili di vita che viaggiano sugli schermi degli smartphone. È nell’abbandono dei piccoli borghi, soprattutto montani, dove non c’è più vita e la desolazione produce morte: mai tanti disastri come negli ultimi decenni a seguito di eventi atmosferici di eccezionale portata: ma un tempo non era così, la campagna e le montagne e le valli erano “vigilate”, accudite, sorvegliate, vi si coltivavano prodotti ormai introvabili, l’esistenza aveva un altro sapore. E si facevano figli: le culle erano piene tanto in provincia quanto in città. Possiamo dirlo? L’amore dominava l’avidità. Dalla regressione delle nascite alla morte dei popoli, il passo è assai breve. E ciò è correlato alla disfatta dell’idea di comunità umana, particolare ed universale, nella quale la precarietà ed il disagio trovano il fertile terreno di coltura sul quale rigogliose fioriscono le piante dell’intolleranza. E quanto ancora si potrebbe continuare...

Ci domandavamo su queste pagine nelle settimane scorse perché la disaffezione per la politica con il passare del tempo contagia sempre di più i cittadini che della politica stessa sono per definizione i “titolari”. La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo. Quando nessuno di coloro che esercitano funzioni pubbliche e di potere, soprattutto in virtù di deleghe democratiche ( ma anche funzionari che manovrano le leve dello Stato per aver vinto concorsi pubblici) si occupa più di ciò che attiene alla vita reale per dedicarsi intensamente ed esclusivamente ad alimentare baruffe propagandistiche, come accade in Italia in particolare, dove a tale rito surreale assistiamo quotidianamente impotenti e frastornati, vuol dire che la spettacolarizzazione del nulla si è imposta sulla vita reale e il tormento della pratica delle parole senza idee è divenuto una costante dalla quale non possiamo più sfuggire.

Altrove, restando in Europa e senza girovagare per lidi estremi, i temi del cibo e della qualità dell’aria, dell’acqua pubblica da difendere e da erogare con parsimonia, dell’educazione scolastica rigorosa e perfino severa ( in Germania, in Gran Bretagna, in Francia), della costruzione di classi dirigenti adeguate a dirigere le società complesse, sono sentiti ed apprezzati. La politica vi si dedica come può e non è raro leggere sui giornali approfondite inchieste sul depauperamento delle risorse e sulle connesse ragioni che inducono masse di disperati a varcare un mare dove si combattono ignobili guerre e va a fondo quella memoria di civiltà che quelle acque hanno conservato fino all’insorgere di bucanieri che agitano paure e costruiscono pallide fortune sull’odio sociale.

Girovagando per ricchi e pittoreschi mercati europei ( non quelli finanziati, ma dove si fa la spesa ovviamente) mi sono chiesto più volte quanto durerà l’abbondanza che ancora ci stupisce. La risposta è nella storia. I popoli giovani ed affamati, soprattutto davanti alla desolazione di chi ha tutto è non sa goderne, sono destinati a prevalere. È la legge della natura quando non viene governata.

Se l’immigrazione, per uscir di metafora, diventa una questione di polizia, mentre è politica e culturale con tutto ciò che implica il rapporto tra le civiltà, chi non se ne avvede è destinato a perdere la partita. Il mondo è in movimento: ha sete, ha fame di cibo e di conoscenza, mette al mondo figli e coltiva fedi che sembrano inattaccabili. Altro che affidare la difesa alla costruzione di improbabili muri. I muri sono fatti per essere abbattuti. Giusto trent’anni fa cadeva quello che sembrava il più granitico ed inviolabile. La politica odierna lo ha dimenticato e cerca scorciatoie che non esistono per dare risposte grottesche e drammatiche al tempo stesso.