Riforma. Non ha mai favoleggiato di rivoluzioni, il ministro Alfonso Bonafede: ha sempre parlato di «un intervento per rendere più rapidi i processi penali».

Impegno mantenuto, da quanto emerso ieri alla riunione finale del tavolo con avvocati e magistrati, ai quali il guardasigilli ha presentato il testo della riforma.

Niente aggressioni al diritto di difesa, come sarebbe avvenuto se fossero passate alcune ipotesi dell’Anm.

Con un neo, dovuto al veto della Lega: dalla parte del ddl delega dedicato al penale scompaiono gli interventi sul patteggiamento. Ritenuti preziosi dall’avvocatura e dal le toghe.

Il nodo patteggiamento

Ma il partito di Matteo Salvini teme che un potenziamento del più efficace tra i riti alternativi venga interpretato dagli elettori come un favore a chi si dichiara colpevole, giacché il patteggiamento implica sconti di pena.

Un’occasione mancata che però non sorprende: proprio dalla Lega era venuta la legge che ha abolito l’abbreviato per i reati da ergastolo.

La riunione della verità sulla riforma penale si celebra come le altre a via Arenula.

Da una parte le rappresentanze forensi — Cnf, Ocf, Aiga e, naturalmente, l’Unione Camere penali — dall’altra la delegazione dell’Anm guidata dal nuovo presidente Luca Poniz.

Il guardasigilli illustra la parte del ddl delega dedicato al processo penale ( oggi pomeriggio è previsto il tavolo sul civile), un testo ormai pronto per il Consiglio dei ministri.

Restano alcuni punti cardine: l’indicazione di termini per la durata delle indagini in parte più ampi ma assai meno “valicabili”, con l’introduzione di un nuovo, vero e proprio illecito disciplinare per il pm che viola i limiti; il rafforzamento dei poteri di filtro del gup e un analogo vincolo per lo stesso pm a chiedere l’archiviazione nei casi in cui gli elementi raccolti non consentano di veder riconosciuta l’accusa al processo; fino all’intervento un po’ mutilato sui riti alternativi, che lascia intonso, come detto, il patteggiamento ma introduce novità estensive, e utili secondo l’avvocatura, per l’abbreviato condizionato. Una partita non chiusa, dal punto di vista dello stesso guardasigili, comunque soddisfatto del testo messo a punto.

Caiazza e Vermiglio: evitate ipotesi hard

E c’è un motivo di compiacimento condiviso da tutte le rappresentanze forensi: l’assoluta esclusione di alcune ipotesi “hard” ( e letali dal punto di vista del diritto di difesa) prospettate in un documento approvato un anno fa dall’Anm.

«È importante», per il presidente del Cnf Andrea Mascherin, «aver evitato soluzioni, a suo tempo ventilate da parte della magistratura, gravemente incidenti sul diritto alla difesa, come l’introduzione della reformatio in peius in sede di appello, mentre sono state accolte alcune importanti soluzioni proposte dall’avvocatura».

Allo stesso modo sia il presidente dell’Ucpi Gian Domenico Caiazza che il vertice dell’Aiga Alberto Vermiglio ritengono «positivo» il fatto che «anche nella versione finale, la parte della delega dedicata al penale non abbia recepito le ipotesi ventilate dall’Anm, in particolare sulle impugnazioni».

Secondo il leader dei penalisti «va apprezzato che il testo sia fedele al lavoro condiviso al tavolo. Tranne», ricorda Caiazza, «che su un punto essenziale qual è il patteggiamento: è davvero spiacevole che un intervento di riforma rivolto ad accelerare i tempi non preveda l’estensione del rito dotato della maggiore incidenza deflattiva».

Mascherin: norme utili su fase preliminare

Il nodo sarà affrontato probabilmente anche nelle commissioni Giustizia di Camera e Senato, che esamineranno sia il ddl delega sia ovviamente i decreti legislativi ( il testo illustrato ieri prevede possano essere emanati anche tra un anno, ma arriveranno assai prima per evitare il corto circuito con la “nuova” prescrizione).

Mascherin rileva comunque come «i principi della delega, scaturiti dal confronto promosso dal ministro con avvocatura e magistratura» siano «utili a realizzare gli strumenti adatti a una definizione dei procedimenti nelle fasi antecedenti al dibattimento, sia ampliando alcune facoltà difensive, sia individuando percorsi più vincolati per il pubblico ministero e infine rafforzando i poteri decisionali dei giudici dell’udienza preliminare».

E infatti resta confermato l’obbligo, per il pm, di mettere il fascicolo a disposizione della difesa qualora non abbia ancora notificato l’avviso di chiusura ( o chiesto l’archiviazione) una volta trascorsi 90 giorni dalla scadenza del termine per le indagini.

Termine che è stato rimodulato proprio secondo le richieste degli avvocati: 6 mesi per i reati puniti fino a 3 anni di carcere, 12 mesi per tutti gli altri reati, con la sola eccezione di quelli gravissimi, come mafia e terrorismo, per i quali il limite è di 18 mesi.

Prima della scadenza del termine il pm può chiedere una sola proroga, non superiore a 6 mesi.

Confermata, come detto, anche l’introduzione di una nuova fattispecie di illecito disciplinare per il pubblico ministero che, una volta comunicata la chiusura delle indagini, tarda a chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione.

Ma la violazione si configura solo se l’inerzia del magistrato è dovuta a negligenza inescusabile o addirittura a dolo.

Prevista come illecita anche la condotta del pm che non mette il fascicolo a disposizione della difesa dopo i famosi 90 giorni.

Va aggiunta l’accennata eliminazione del vincolo che ha finora falcidiato l’“abbreviato condizionato”, vale a dire la “compatibilità con l’economicità del processo”.

Ora, la disponibilità dell’imputato ad accettare il rito abbreviato a patto di concedergli un’ integrazione probatoria è subordinata solo alla rilevanza e novità di tale nuova prova.

«Si potrà lavorare a un ulteriore miglioramento del testo», in Parlamento e in fase attuativa, «confidando che il metodo del confronto voluto dal ministro continui a essere coltivato», osserva Mascherin.

E vista l’apertura mostrata finora dal guardasigilli, non c’è motivo di dubitarne.