La diva cortese. «Sono un’attrice vecchio stile, con la voce flautata», la stessa voce che donò a Severine, la diva protagonista di Effetto Notte, di Truffaut.

Diva, Valentina Cortese lo fu nel 1948 a Hollywood prima di Sophia Loren e più di Anna Magnani, ma già lo era in Italia: gli occhi verdi, la pelle diafana e gli zigomi alti, perfetti per il bianco e nero.

La “Divina” Valentina Cortese si è spenta ieri a 96 anni, nella sua casa di Milano di piazzetta Sant’Erasmo teatro di tanti litigi con Giorgio Strehler e culla dell’ultimo amore con l'industriale Carlo De Angeli e di lei ritornano le parole della sua ultima intervista: «Copritemi con un vecchio vestito di scena oppure semplicemente con un lenzuolo e buttatemi nel fuoco. E io vi prometto che conserverò il mio sguardo incuriosito se, di là, dovessi scoprire che esiste il paradiso».

Un paradiso in cui lei sperava che ci fossero gli alberi, gli stessi della sua infanzia, nella prima delle sue molte vite.

La vita

Nasce a Milano il 1 gennaio del 1923, figlia del legame illegittimo d’una ragazza che prima la tiene nascosta e poi la affida a una balia, che la cresce come fosse figlia sua nelle campagne di Agnadello, vicino a Cremona.

Un’infanzia povera ma felice, con persone semplici che però non le mettono limiti: a sei anni decide di fare l’attrice e «nessuno dei miei contadini tentò di farmi essere diversa», ricorderà nella sua biografia.

E libera lei è stata sempre, anche quando si trasferì a Torino, dalla nonna materna.

Proprio in ricordo di quest’infanzia umile, costruirà il dettaglio che diventerà parte della sua icona: il foulard in testa annodato dietro, a coprire interamente i capelli e incorniciare il viso: «Si chiama el riòtt, non è snob e non copre la calvizie, ma cita il fazzoletto che tenevano le campagnole lavorando per proteggersi dal sole: è una carezza che mi accompagna».

La carriera d'attrice

La sua seconda vita inizia a 17 anni, dopo una vacanza a Stresa: qui incontra il direttore d’orchestra Victor de Sabata, tren’tanni più vecchio di lei, già sposato e padre di famiglia.

Lei perde la testa per lui, lascia il liceo e si trasferisce a Roma per fare l’attrice e stargli vicino. E’ qui che la sua immagine eterea e la recitazione acerba ammaliano Cinecittà: lei diventa la fidanzatina d’Italia nel cinema fascista, le vengono riservate parti da ragazza innamorata.

Negli anni Quaranta è all’apice del successo ma infelice dei ruoli ed è così che scopre il teatro, dove avviene la sua maturazione artistica, che le aprirà le porte alla sua terza vita.

Nel 1946, dopo il film neorealista Roma città libera, le si spalancano le porte di Hollywood: la 20th Century Fox le offre un contratto capestro per tre anni e lei lascia de Sabata ( «Mi resi conto che i figli vevano ancora bisogno di lui» ) e vola a Los Angeles.

Qui conosce il suo secondo grande amore, Richard Basehart, Dick, padre del suo unico figlio. «Non fu un matrimonio felice», si è sempre limitata a ripetere.

Poi, «il fattaccio» : rifiuta le avances di Darryl Zanuck, il capo della Fox, gettandogli un bicchiere di whiskey in faccia quando lui prova ad allungare le mani e lui si vendica interrompendole la carriera: la tiene sotto contratto, ma non le fa girare nessun film.

Ritorno in Italia

Torna in Italia a fine anni Cinquanta e lavora con igrandi, da Antonioni a Fellini, ma il cinema non le offre ruoli adatti e così lei si reinventa di nuovo, tornando a luogo che l’ha formata.

A Milano inizia a lavorare al Piccolo, dove conosce e si innamora di Giorgio Strehler: con lui per 15 anni e diretta da lui sul palcoscenico del Piccolo offre le sue migliori performance.

Il cinema sembra ormai un ricordo lontano e nemmeno molto rimpianto, fino a quando, nel 1973, strega il mondo con Effetto Notte. Truffaut la sceglie per interpretare ironicamente la diva del suo film metacinematografico: è un trionfo e un contrappasso nei confronti di Hollywood.

La pellicola francese vince l’Oscar per miglior film straniero e lei viene nominata come miglior attrice non protagonista. In quel 1975 l’Oscar lo vincerà Ingrid Bergman, che dal palco del Kodak Theatre ringrazia l’Academy ma dice che il premio avrebbe dovuto vincerlo Valentina.

E’ la chiusura in gloria della sua carriera: si distacca senza rimpianti dal cinema e sceglie solo piccoli ruoli, continua invece a lavorare in teatro, concludendo con l’applauditissima interpretazione del Magnificat di Alda Merini, dal 2003 al 2009.

Amore e sofferenza

Una vita lunga e fatta d’incontri, di amori( «Victor mi ha dato armonia, musica e cultura. Strehler è stata la poesia» ) e molta sofferenza ( il suo unico figlio, Jackey, muore nel 2015 per una rara malattia), raccontata senza alcuna malinconia nell’autobiografia Quanti sono i domani passati.

Un ritratto, il proprio, che Valentina Cortese ha saputo costruire e conservare anche nel silenzio degli ultimi anni. «Cerco di tenermi questa etichetta che mi hanno messo addosso della diva un po’ evanescente, e che in fondo mi va bene, mi protegge e mi fa comodo», un’etichetta che non rende giustizia alla sua complessità ma che le dona quell’aura d’immortalità riservata solo a chi ha saputo lasciare il segno.