Toghe e penalisti. Carrierismo, correntismo, verticalizzazione delle Procure. E poi ancora obbligatorietà dell’azione penale e separazione delle carriere.

I temi attorno ai quali magistrati e avvocati si sono raccolti, con lo scopo di tirar fuori le linee guida per una riforma dell’ordinamento giudiziario, sono tanti. E trovano le due parti in causa su posizioni opposte, almeno per quanto riguarda la separazione delle carriere.

Mentre tutti sono d’accordo su una cosa: l’inchiesta che ha coinvolto l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara e la bomba esplosa all’interno del Csm rappresentano la più grave crisi finora vissuta dalla magistratura, una crisi dalla portata «eversiva».

Il convegno romano

Ed è per questo motivo che ieri Unione delle Camere penali, Camera penale di Roma e magistratura si sono incontrati a Piazzale Clodio per dare il via ad un tavolo per riformare l’ordinamento giudiziario e ridargli credibilità.

L’avvocatura crede nella necessità di separare le carriere, per garantire quella terzietà del giudice oggi «negata». Dall’altra parte, invece, la separazione viene vista come il via libera per nuove pressioni da parte della politica sulla magistratura.

Mentre sono tutti d’accordo sulla necessità di limitare lo strapotere dei procuratori, sancito dalla riforma Castelli del 2006. Perché quel potere «è un potere politico».

A fare gli onori di casa è stato il presidente della Camera penale di Roma, Cesare Placanica, che ha parlato dei fatti legati al caso Csm come di una «ferita» dell’intero corpo dei giuristi, sulla quale tutti, avvocati e magistrati, sono chiamati a confrontarsi.

L’intervento suggerito da Rinaldo Romanelli, responsabile dell’Osservatorio ordinamento giudiziario dell’Ucpi, è la separazione delle carriere, tipica di «quasi tutti i paesi a democrazia evoluta», tranne l’Italia, dov’è resa necessaria dallo squilibrio tra le due parti e amplificato dalla risonanza mediatica «che pone il pm in una posizione di potere all’interno del sistema giudiziario».

Separazione delle carriere e obbligatorietà dell'azione penale

La magistratura è «un malato», ha sottolineato Rodolfo Sabelli e il problema principale è il «personalismo». Ma idee come quella del sorteggio in tema di nomine sono «sciocchezze», perché «incostituzionali», mortificando il principio di rappresentanza, «che deve essere fondato sulla condivisione di valori e principi».

E di principi parla l’ex presidente dell’Anm, Eugenio Albamonte, secondo cui la causa di tutto è la «crisi valoriale» delle aggregazioni sociali: le correnti della magistratura hanno perso identità culturale e i fattori di aggregazione sono rappresentati, oggi, dagli «interessi clientelari».

Il caso Palamara, però, rappresenta molto di più che una decadenza: non c’era in ballo solo la nomina di un procuratore, ma «l’ipoteca sull’esercizio della giurisdizione, una volta attribuito quell’incarico». E ciò rappresenta «un’azione insolita e fortemente eversiva».

Bisogna, dunque, «eliminare l’influenza politica» sulla magistratura e «rafforzare in tutti i modi possibili l’autonomia del pm». Ma non abolendo le correnti, ha sottolineato Giuseppe Cascini, consigliere del Csm, bensì con una nuova legge elettorale, un sistema «proporzionale per liste, che impone alle correnti di mettere un numero di candidati talmente elevato da non poter essere controllato».

Ma ad evidenziare le distanze tra magistrati ed avvocati ci ha pensato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Ucpi. Secondo cui il caso Csm non va affrontato in termini di etica, bensì come «un atto politico di livello eccezionale» e, dunque, certificando la rilevanza politica «abnorme» degli uffici di procura.

Una prova della commistione tra politica e procure è il «tema tabù» dei distacchi dei magistrati presso l’esecutivo, per andare a costituire il sistema nervoso di alcuni dei ministeri più importanti del Paese.

Ma un altro problema è anche l’obbligatorietà dell’azione penale e la discrezionalità nella scelta dei fascicoli da mandare avanti, atto fondamentalmente politico. «Siamo convinti - ha affermato Caiazza - che sia il Parlamento a dover dare indicazioni dei limiti entro cui le procure operano, con la supervisione del Csm».

E servono due Csm, per «rafforzare la giurisdizione». Un tema sul quale però non è d’accordo Giuliano Caputo, segretario generale dell’Anm. «Bisogna ragionare sulle ricadute di una eventuale modifica costituzionale - ha evidenziato - In Polonia è iniziato tutto così: oggi, lì, i togati sono eletti dal parlamento».

Il tema comune è dunque la gerarchizzazione delle procure, «che non garantisce uniformità nell’esercizio dell’azione penale» e il rapporto tra politica e magistratura. Ma la riforma, secondo il vice presidente dell’Ucpi, Nicola Mazzacuva, deve passare anche da una revisione del processo, «cercando di limitare l’impero del diritto penale sulla società civile».