Scontro Trenta-Salvini. Il rischio cortocircuito fra i vari soggetti istituzionali preposti alla gestione dei flussi migratori è sempre più concreto.

Le dichiarazioni di ieri del ministro della Difesa, la grillina Elisabetta Trenta, in cui “rimproverava” il titolare del Viminale, Matteo Salvini, di aver rifiutato la collaborazione della Marina militare nel controllo delle ong, sono infatti solo la punta dell’iceberg di uno scontro che va avanti da mesi.

La risposta di Salvini

E la risposta del Viminale non si è fatta attendere: «AL ministro della difesa replicano i numeri», ha infatti dichiarato Salvini.

«La missione Sophia, con tutto il rispetto, recuperò decine di migliaia di immigrati e li portò tutti in Italia perché questo prevedevano le regole della missione. Ditemi se il contrasto dell’immigrazione clandestina è recuperare decine di miglia di immigrati in giro per il Mediterraneo e portarli tutti in Italia».

Poi Salvini ha aggiunto: «Il lunedì mattina mi alzo contento, altri un pò nervosetti, problema loro».

Il problema di fondo, mai realmente affrontato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, riguarda la frammentazione degli apparati di sicurezza a cui è demandato il controllo dei migranti che vogliono arrivare in Italia.

Esecutivo litigioso e corpi militari

I troppi corpi militari e ad ordinamento militare, tralasciando la polizia di Stato, impegnati nelle varie attività di gestione del problema dell’immigrazione, patiscono le conflittualità di un esecutivo litigioso e diviso su tutto.

Se da un lato Salvini rivendica il proprio ruolo di responsabile nazionale della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, la collega Trenta ribadisce di essere il capo delle Forze armate, costituzionalmente preposte alla tutela dei confini Paese.

In questa querelle si inseriscono altri due importati ministri del governo Conte: il pentastellato Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, e Giovanni Tria, ministro dell’Economia.

Dal primo dipende la Capitaneria di porto, dal secondo la Guardia di finanza.

Gli equipaggi navali dei due corpi sono da sempre in prima linea nell’attività di pattugliamento delle coste.

Una motovedetta della Finanza è stata anche speronata la scorsa settimana dalla Sea watch al porto di Lampedusa.

In assenza di regole chiare, la polemica si gioca tutto sul lato politico, con iniziative “doppione”.

Dopo che qualche mese fa Salvini era volato a Tunisi per stringere accordi al fine di arginare il fenomeno delle partenze, la prossima settimana sarà il turno del ministro della Difesa.

Missione in Tunisia

“In Tunisia, a breve, partirà una missione in cui saranno impegnati i nostri militari a fianco dei colleghi tunisini”, ha sottolineato Trenta al question time alla Camera la scorsa settimana, annunciando quindi un nuovo impegno fuori area per le nostre Forze armate.

E diretti interessati cosa dicono? Ufficialmente nulla, essendo i militari obbligati alla consegna del silenzio dalle severe norme disciplinari.

A microfoni spenti, però, il malcontento serpeggia ed il Capitano è l'unico punto di riferimento per il personale in divisa.

«Il mondo al contrario. Chi viola la legge diventa un’eroina e chi ha difeso la patria tra un po’ passa per delinquente. Sono molto amareggiato. Questo provvedimento è davvero ingiusto ma soprattutto contiene molte inesattezze. A partire dalla definizione di nave da guerra. Lo sanno pure i bambini che l’imbarcazione della Guardia di Finanza è una nave da guerra perché issa il vessillo e ha i colori della Marina militare come nave da guerra».

A parlare l’altra settimana, in una intervista all’Adnkronos sotto garanzia dell’anonimato, è stato uno dei finanzieri in servizio nel gruppo navale delle Fiamme gialle di Lampedusa.

Ha letto il provvedimento con il quale il gip Alessandra Vella ha rigettato tutte le accuse nei confronti della capitana della Sea Watch 3, non convalidandone l’arresto e non disponendo alcuna misura cautelare.

“Secondo qualcuno - prosegue - dovevamo essere puniti, ma è una assurdità. Noi abbiamo eseguito solo ordini legittimi e invece passiamo per chi commette un reato. Non ci sono più regole certe».

E ancora: «Mi sembra di stare a teatro con le comparse ma non so chi è il burattinaio. Il collega ha eseguito ordini e gli è andata bene perché poteva rischiare la vita. Per il resto andiamo avanti ma non ci sono più le condizioni per lavorare bene»