La guerra delle “ Terre rare”. «Il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare». Questa espressione attribuita a Deng Xiaoping, il famoso leader della modernizzazione della Repubblica Popolare, spiega bene l’approccio di Pechino per quelle che sono le materie prime strategiche dell’industria del futuro, le terre rare e che stanno diventando una risorsa chiave nel conflitto economico strategico che sta opponendo Usa e Cina.

La terre rare non sono così rare nella crosta terrestre. Anzi, esse sono abbastanza presenti sul nostro pianeta. Sono diffuse nelle formazioni di roccia. Pur tuttavia non sono facilmente disponibili. Ma che cosa sono?

Sono tante e sono importanti. Tutte assieme costituiscono un insieme di ben 17 elementi della tavola periodica. Si chiamano con denominazioni strane: lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, itterbio, lutezio. A queste si aggiungono altri elementi come l’ittrio e lo scandio.

Le terre rare non sono una realtà omogenea. Tutt’altro: si dividono in due categorie, le “terre rare leggere” e quelle “pesanti”. Queste ultime sono quelle più usate nell’industria dei beni ad alta tecnologia.

E qui arriviamo al punto sensibile. Le terre rare servono davvero per tante cose che ci piacciono. Sono indispensabili per le calamite e le ritroviamo nei motori delle auto elettriche ( qui iniziano le loro applicazioni “verdi”, quelle nel quadro della rivoluzione industriale di stampo ecologico prossima ventura) e nei generatori caratteristici delle pale eoliche a forte potenza.

Le tecnologie legate alla terre rare le ritroviamo in tantissimi beni che usiamo tutti i giorni anzi che sono diventati indispensabili per la nostra vita quotidiana e per l’economia avanzata: prodotti audio, sensori, dischi rigidi, e infine le lampade più moderne.

Ci sono terre rare in processi di raffinazione del petrolio, nell’industria del vetro, o ancora nelle marmitte catalitiche, nelle pile a combustibile, nei superconduttori ad alta temperatura, nelle nanotecnologie. Insomma in tutta l’industria dell’alta tecnologia, dove più dove meno, ci sono terre rare. Il lantanio, ad esempio, trova impiego nelle lenti ottiche di alta qualità o nel cracking del petrolio. Il cerio è un componente importanti di leghe fondamentali. Il praseodimio se la fa con i magneti permanenti. Il neodimio con il laser ( e tante altri beni). Il samario per laser e per il controllo dei reattori nucleari. Dobbiamo continuare? L’elenco è lunghissimo, ma vale la pena di ricordare ancora qualcosa: il terbio, ad esempio, è usato per le memorie ottiche dei computer, i componenti degli hard disk, le leghe magnetiche, mentre lo scandio per le super- leghe e l’ittrio per i superconduttori.

Abbiamo a che fare con materie prime decisamente strategiche, che sono presenti dappertutto sul nostro piccolo pianeta, ma in piccole quantità. Grazie, però, alle basse concentrazioni esistenti, l’attività di estrazione, separazione, lavorazione delle terre rare si presenta particolarmente costosa e provoca un fortissimo impatto ambientale. E qui iniziano i problemi.

Fino agli anni Sessanta circa l’industria delle terre rare era una faccenda di quattro paesi, Australia, Brasile, India, Sudafrica, ovvero quasi tutte nazioni legatissime all’Occidente. Nei due decenni successivi gli Stati Uniti entrarono in scena con il grande giacimento e le fabbriche minerarie di Mountain Pass, in California.

L’impatto ambientale era particolarmente forte e fu così che prima negli anni Ottanta e poi sempre di più con il nuovo secolo, un nuovo importantissimo attore si è presentato sulla scena mondiale dell’industria delle terre rare: la Cina. In quei anni, grazie ad una precisa strategia della leadership cinese, l’industria delle terre rare è diventara decisiva per la Repubblica Popolare. Come corollario l’industria cinese diventasse decisiva per tutto il mondo.

Risultato? Secondo alcune stime di pochi anni or sono, l’ 87 per cento del mercato mondiale delle terre rare è nelle mani di Pechino. La Cina ha creato un quasi- monopolio nazionale di questo settore chiave dell’industria ad alta tecnologia a livello mondiale. Anzi la Cina, nel 1990, ha dichiarato questo settore, “strategico” a tutti gli effetti, impedendo quindi qualsiasi penetrazione in esso del capitale straniero.

Ciò ovviamente ha messo in allarme gli altri grandi paesi capitalistici. Europa, Stati Uniti, Giappone hanno cercato vie e approcci alternativi per evitare di pagare un dazio geopolitico troppo elevato al quasi- monopolio cinese. Ma le alternative sono tutt’altro che semplici: sembra di capire che sfuggire al quasi- monopolio delle terre rare sia quasi più difficile che sfuggire ai cartelli del petrolio.

E’ particolarmente interessante quello che è acca- duto attorno al Giappone. Attualmente le relazioni di Tokyo con Pechino sono più che buone, ed anzi esse tendono ad una cooperazione economica e forse politica senza molti precedenti nella travagliatissima storia delle due nazioni dell’Asia orientale. Ma solamente pochi anni or sono, nel 2010, le cose erano un po’ diverse. Giappone e Cina, era il settembre di quell’anno, vivevano un fase di confronto politico molto accesso, anche a causa della controversia delle isole Senkyaku che si era riscaldata a causa di alcune tensioni geopolitiche bilaterali. Un capitano di nave cinese era detenuto dalle autorità nipponiche. La Cina decise un embargo di fatto, che però fu sempre negato ufficialmente, per le esportazioni di terre rare made in China verso l’altra grande economia manifatturiera dell’Oriente.

Il Giappone ha da allora cercato di ridurre la forte dipendenza dalla Cina. E ha messo in piedi una strategia davvero interessante: in primo luogo, Tokyo ha avviato negoziati per accordi con la Mongolia, un paese potenzialmente ricco di queste terre rare. In secondo luogo, il Giappone ha avviato una politica su ampia scala di riciclaggio delle terre rare usate anche in beni di largo consumo come gli elettrodomestici Infine, alcune grandi aziende hanno poi cercato tecnologie alternative. Insomma il Giappone, pur mantenendo anzi incremento la cooperazione con Pechino, ha messo in atto una coordinata strategia di Stato e grandi aziende per cambiare almeno in parte l’equazione del potere nell’industria delle terre rare con la Cina.

Nel 2013 da Tokyo arriva una notizia interessante: la scoperta di giacimenti ricchi di terre rare addirittura nel fondali oceanici del Giappone, vicino alla barriera corallina. Una estrazione quotidiana di questo giacimento, grazie alla sua ricchezza, potrebbe ridurre significativamente la dipendenza dalla Cina, pur senza azzerarla. Purtroppo, in queste faccende ci sono sempre forti contro- indicazioni. C’è un problema per l’ambiente. Si tratterebbe dello sfruttamento di risorse dei fondali oceanici con effetti potenzialmente enormi per l’ecologia marina.

Anche l’Europa si è mossa rapidamente: la Germania si è rivolta a paesi come la Mongolia ( sempre lei!) e il Kazachistan. L’Unione Europea ha guardato anche alla Groenlandia, l’immensa isola del Nordamerica sotto sovranità danese ( la Danimarca è un membro dell’UE ma la Groenlandia ha uno status particolare circa l’UE). La Groenlandia può essere un importante fornitore di terre rare per l’Europa, anche se anche in questo caso non mancano i problemi ambientali legati anche alla particolare collocazione dell’isola, che fa parte del Grande Nord e delle grandi riserve di acqua dolce del pianeta. Alcuni depositi di terre rare sono in giacimenti contenenti uranio, e quindi è facilissimo comprendere la delicatezza di tutta la questione.

Insomma, la terre rare sono indispensabili per l’industria dell’alta tecnologia. Per le tecnologie ‘ verdi’ per ora almeno sono vitali: eolico, auto elettriche e quant’altro. La Cina è riuscita a diventare, con una serie di politiche che vengono spesso accusate di essere decisamente contrarie a regole minimali di mercato aperto, la massima produttrice ed esportatrice di terre rare. Con la motivazione che deve proteggere il suo ambiente pesantemente danneggiato e che deve cercare di tutelare le sue riserve strategiche, la Repubblica Popolare ha iniziato una politica di restrizione nella vendita e nell’esportazione di terre rare.

Non solo: Pechino, proprio grazie alla sua posizione ‘ dominante’ nei mercati delle terre rare, tende a fare una politica strategica collegata ai momenti e agli approcci geopolitici.

Come ha fatto, con un messaggio più che chiaro, lo stesso Presidente Xi Jinping, quest’anno, in piena guerra commerciale e tecnologica con l’America di Donald Trump. L’amministrazione americana aveva appena deciso di lanciare nuovi, durissimi colpi contro Huawei, inserendo il gigante delle telecomunicazioni e degli smartphone cinesi nella ‘ lista nera’.

Che fa Xi? Guardiamo le date: a metà maggio, l’amministrazione Trump mette Huawei nella ‘ lista nera’. L’azienda cinese non potrà avere forniture tecnologiche da imprese americane. Molti osservatori occidentali si chiedono in quanto tempo Huawei dovrà crollare e arrendersi a Washington. Il 20 maggio, quindi a stretto giro, il Presidente cinese allunga un suo viaggio e si era a Guazhou, uno dei centri più importanti dell’industria cinese delle terre rare. E visita gli impianti della JL MAG Rare- Earth Co., importante azienda del settore. La stampa cinese illustra la visita del Presidente cinese, presentando il leader come segretario generale del Partito comunista e come Presidente della Commissione militare centrale. La cosa è interessante: in particolare è interessante le menzione di quest’ultima carica che mette Xi alla guida suprema delle forze armate e di sicurezza della Repubblica Popolare.

Leggere il resoconto della visita da parte di Global Times, giornale ufficiale di Pechino è anch’essa una cosa interessante per il linguaggio allo stesso tempo esplicito ed allusivo. Scrive dunque il giornale di Pechino: ‘ la visita ha offerto un grande sostegno all’industria che è stato considerato come una forma di leva per la Cina nella guerra commerciale con gli Usa’. Continua: ‘ Il viaggio ha attirato molta attenzione, poichè giunge in un momento nel quale Cina e Usa sono bloccati in battaglie commerciali e tecnologiche’. Conclude: ‘ molti hanno suggerito che la Cina dovrebbe limitare le esportazioni di terre rare verso gli Stati Uniti come contromisura alle decisioni Usa di nuove tariffe su prodotti cinesi e di taglio delle forniture di semiconduttori per società cinesi’.

Dopo questo passaggio, sia come sia, Washington e Pechino hanno ripreso i contatti, o per meglio dire hanno riacceso contatti mai cessati, per cercare di arrivare all’incontro di Osaka fra i due presidenti e per cercare di riprendere il filo di un negoziato importante.

Da allora, a dir la verità, è emersa una realtà di questo conflitto economico e strategico sino- americano molto più complessa di quella propagandata da molti osservatori occidentali: la Cina ha dimostrato di avere molte armi per la guerra economica dichiarata da Trump comunque si voglia giudicare la posizione e gli interessi di Pechino.

Quattro anni or sono, uno specialista francese a Delhi mi aveva detto che la Cina stava facendo shopping in Occidente di tecnologie ed imprese ben sapendo che entro qualche anno gli Stati Uniti avrebbero preso provvedimenti anti- cinesi. Pechino cioè si prepara da tempo al conflitto economico con Washington. La strategia cinese era molto chiara. E’ ben strano che Washington non si sia preparata da parte sia, se era sua intenzione fare ‘ la guerra’ alla ascesa della Repubblica Popolare.

La guerra commerciale sino- americana è diventata conflitto per l’egemonia tecnologica. Le terre rare, esplicitamente o nascostamente, sono un terreno fondamentale di scontro. Ciò andrà avanti fino a quando, gli Stati Uniti ( e la Cina) non sceglieranno un’altra modalità di relazioni economiche e politiche più positive per loro e per il mondo intero.