Dopo la tragedia di Rebibbia, avvenuta a settembre del 2018, dove una mamma detenuta ha ucciso due suoi figli piccolissimi reclusi assieme a lei, sembrava che finalmente il governo fosse pronto a metterci mano per risolvere il problema dei bimbi dietro le sbarre. È passato quasi un anno, ma tutto tace. Eppure l’emergenza rimane.

Per questo martedì scorso, i deputati del Partito democratico hanno chiesto di rilanciare una proposta di riforma con l’associazione “A Roma Insieme- Leda Colombini”. La proposta è di semplice attuazione: costruire case famiglia con il finanziamento dello Stato – e non “senza oneri per lo Stato”, come previsto dall’attuale norma; utilizzare gli Icam ( Istituti a custodia attenuata per detenute madri) solo nei casi di lunghe detenzioni e procedere alla comunicazione immediata delle autorità giudiziarie competenti della presenza di un minore al momento dell’arresto. Questa proposta di riforma, come detto, è emersa nel corso della conferenza stampa “Madri detenute e figli minori: normativa vigente e alternative al carcere” organizzata il 2 luglio a Montecitorio dai deputati del Partito Democratico Paolo Siani, Ubaldo Pagano, Carmelo Miceli, Nicola Pellicani, Patrizia Prestipino, Rosa Maria Di Giorgi con l’associazione “A Roma Insieme- Leda Colombini”, alla presenza del Garante dei detenuti della Regione Puglia, Piero Rossi.

La proposta è stata spiegata nel corso dell’incontro da Gustavo Imbellone e Giovanna Longo, di “A Roma Insieme- Leda Colombini”, associazione attiva dal ’ 94 il cui obiettivo principale è che nessun bambino varchi più la soglia di un carcere. «Non si tratta di aggiustamenti che stravolgono l’ordinamento, ma di misure emendative necessarie perché quella legge realizzi finalmente gli obiettivi che non ha ancora realizzato e per superare alcune contraddizioni», spiegano gli organizzatori. Ma anche per fare in modo che gli Icam, metà carcere metà casa- famiglia, non vengano considerati come la soluzione al problema. «Avere bambini innocenti in carcere è una cosa insopportabile a dirsi, ma vedersi ancora di più- ha dichiarato all’agenzia Dire Paolo Siani, capogruppo Pd della Commissione parlamentare per l’Infanzia-. La Commissione Infanzia è stata nell’Icam di Lauro, in Campania, a vedere come vivono i bambini in queste strutture, che non sono delle vere e proprie carceri. È certo la vita in quell’istituto è meno pesante per il minore, ma non è una famiglia, non è una casa».

L’ipotesi di puntare sulle case famiglia, cosa ben diversa dagli Icam, è stata sempre portata avanti dall’associazione “A Roma Insieme- Leda Colombini”. Nel nostro Paese ne esistono solamente due: una a Roma e l’altra a Milano. La politica ha invece riconosciuto un ruolo primario agli Icam. Mentre per quest’ultimi la responsabilità del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ( quindi c’è lo stanziamento di fondi), per le case famiglia invece la responsabilità è degli enti locali o privati. Quindi lo Stato non partecipa.

La distinzione più importante tra l’Icam e la casa famiglia è proprio il fatto che la prima è una forma detentiva a tutti gli effetti, mentre la seconda è una misura alternativa al carcere, destinata maggiormente alle donne che non hanno un luogo dove poter scontare una pena agli arresti domiciliari. Ed è proprio questa caratteristica che “giustifica” la mancanza di fondi statali. «Noi sappiamo che gli Icam contengono il danno - ha spiegato durante la conferenza stampa Piero Rossi, Garante dei Detenuti della Regione Puglia - e che il migliore degli Icam possibili sarebbe quella struttura con caratteristiche architettoniche e organizzative in cui prevalgano le esigenze del bambino, ma l'Icam è una soluzione che fa a cazzotti con la prevalenza dell'interesse del minore».