L'intervento di Roberto Giachetti

Adifferenza di ciò che pensa il vicepremier Matteo Salvini, la Sea Watch 3 non naviga nel Mediterraneo per fare turismo, ma salva vite umane e la capitana Carola Rackete sta chiedendo al nostro Paese di rispettare la legge del mare, che prevede il salvataggio dei naufraghi e l’attracco in un porto sicuro.

Visto che ciò non le è stato concesso, Rackete ha fatto esattamente ciò che teorizzavano Danilo Dolci e Marco Pannella: disobbedienza civile, dentro i confini della non violenza. Ovvero, ha agito consapevolmente e deliberatamente in violazione di una legge che ritiene ingiusta, facendosi carico di tutte le possibili conseguenze. L’obiettivo: sottolineare l’assurdità della legge violata.

Trovo surreale che ci sia qualcuno che grida allo scandalo e invoca pene esemplari: la capitana della Sea Watch 3 non ha mai chiesto di venire graziata, sa perfettamente che ci potranno essere conseguenze ed ha già detto di essere pronta ad affrontarle. La disobbedienza civile significa questo: davanti a una legge che si ritiene ingiusta perchè viola i diritti umani, una delle armi per combatterla è la scientifica e deliberata violazione di quella stessa legge con l’obiettivo - attraverso il processo - di farne esplodere l’assurdità.

Sono convinto, però, che quello di Rackete non sia un atto politico e, anzi, sarebbe un errore leggerlo come tale, come anche prenderla come ennesimo totem di una sinistra che sente di aver perso volti rappresentativi. Rackete ha agito per salvare vite umane e per adempiere ad una responsabilità assunta e lo ha fatto con i mezzi della disobbedienza civile: in sintesi, è una persona che ha fatto la scelta che riteneva giusta, con una enorme dose di coraggio.

Non lei ma noi politici abbiamo, invece, il compito di trasformare questo suo singolo atto in una questione politica: il solo fatto che lei sia indagata secondo le leggi dello Stato italiano perchè sta provando a salvare vite umane è una questione politica. Per questo, dobbiamo tutti autodenunciarci: chiediamo di essere processati tutti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e diventiamo un movimento. Solo così potremo sollevare tutte le contraddizioni di questa legge, che non ha alcun senso se non quello d’essere parte della propaganda salviniana sulla pelle dei naufraghi.

E qui vengo al punto: le norme del decreto Sicurezza sono state costruite ad arte per alimentare la paura nei confronti di un problema che, negli ultimi anni, si è di molto ridimensionato. E’ una legge- manifesto che ha individuato nelle Ong un nemico e nei migranti degli invasori. La realtà è che i numeri degli sbarchi si sono assolutamente ridotti e che, mentre la Sea Watch 3 con i 42 migranti a bordo era ferma da giorni al largo di Lampedusa, da barchini senza nome sbarcavano in porto 250 disperati, senza che nessuno li respingesse. Per questo quella del governo contro la Sea Watch è propaganda della peggior specie, studiata a tavolino attivata per fare in modo che una crisi inesistente come l’impossibilità di accogliere 42 persone diventi un caso eclatante. Salvini agisce in questo modo perchè cerca un ritorno elettorale e i sondaggi gli danno ragione. Che fare, allora? Il centrosinistra ha il dovere di lavorare ancora più duramente di come sta facendo, per mostrare quanto questa linea, pur forse maggioritaria ma drogata dalla propaganda, sia deleteria.

Se la politica ha una ragion d’essere, è quella di indicare una strada e su quel tracciato costruire il consenso. La nostra in favore della Sea Watch è una battaglia giusta e continuare a combatterla è il senso stesso di fare politica. Con la disobbedienza civile di Carola Rackete, con l’impegno di tutti noi.