Il commento di Leoluca Orlando

Chi salva una vita salva l’intera umanità. Credo che in questa frase del Talmud sia condensato il senso dell’abisso culturale, prima ancora che ideologico e politico, che divide oggi il Governo nazionale con la maschera di Matteo Salvini da quanti sosteniamo che la nave Sea-Watch e la sua comandante abbiamo semplicemente applicato ciò che il diritto internazionale prevede e che le leggi umane, ancorché non codificate, prescrivono: la vita delle persone e la sua salvaguardia vengono prima di tutto e di qualsiasi interesse di parte. Ma al di là dello scontro sulla Sea-Watch, come prima lo scontro sulla Diciotti, sulla Juventa, sulla Open Arms o sulla Mare Jonio, prima di tutto questo, credo che il vero scontro in atto sia su una parola chiave: sicurezza. Il Governo a trazione leghista, proprio come la Lega, ha costruito parecchio, sta costruendo la sua fragile fortuna elettorale sulla mistificazione e sulla perversione della parola sicurezza. Una parola trasformata in paura del diverso, quindi odio verso il diverso. La sicurezza basata sulla paura e sull’odio: un’evidente parodia della sicurezza. Oggi, lo dice l’Istat e non un comitato di “rossi facinorosi”, la grande città statisticamente più sicura d’Italia è Palermo. Che è anche quella con il maggiore incremento turistico degli ultimi due anni ed è anche l’unica che, nel Meridione, ha invertito la tendenza all’aumento della disoccupazione. C’è un legame fra tutto questo? C’è un legame fra il rispetto dei diritti umani, tutti i diritti per tutti e tutte, quanto avviene in queste ore di fronte al porto di Lampedusa e quanto avviene a Palermo? Credo di sì e, ancora una volta la parola chiave è “sicurezza”. C’è un legame fra l’esser statisticamente la città più sicura e l’aver creato a Palermo la “Consulta delle culture” i cui 21 membri eletti democraticamente rappresentano la “quarta gamba istituzionale” della città, rappresentando le oltre 80 comunità non italiane presenti in città? Credo di si, sono certo di si. Costruire comunità accoglienti è infatti oggi la vera sfida per la sicurezza, una sicurezza per tutti perché tutti tutela e tutti coinvolge. Una sicurezza che costruisce "porti sicuri" per tutti, perché solo nel riconoscimento e nella tutela dei diritti, vi è la certezza della costruzione di comunità sicure. Comunità dove l'accoglienza è garanzia di sicurezza intesa prima di tutto come sicurezza della dignità, sicurezza dei rapporti umani, del diritto di accesso ai servizi, del lavoro e dell'ambiente. Questo ci riporta a Lampedusa e a quanto avviene in queste ore. La comandante Rakete, col suo gesto semplice ed ovvio, quello di portare dei naufraghi in un porto sicuro, ci ha ricordato che le migrazioni sono oggi, come sono state in passato, fenomeni storici inarrestabili, che nessun muro in passato ha fermato e nessun muro in futuro potrà fermare. Interpretarli quindi alla luce di un approccio securitario non soltanto è inumano ed illegale ma soprattutto è fallimentare nel lungo periodo. Anche per questo proprio in questi giorni ho lanciato l’idea di una rete internazionale di città e soggetti della società civile che a livello europeo faccia propri questi principi, ma si faccia anche promotrice di azioni concrete di solidarietà ed accoglienza. Iniziative, in altre parole, di costruzione di “porti sicuri e comunità sicure” per tutti.