Il gollismo era finito da un pezzo, ma nessuno lo ammetteva apertamente. Ci sono volute le inchieste giudiziarie, unitamente alle sconfitte elettorali dei movimenti che negli ultimi quindici anni lo hanno incarnato in qualche modo - Rpr, Ump, Les Républicains - per certificarlo al di là di ogni ragionevole dubbio. Gli ultimi atti si sono celebrati in una stazione di polizia ed in una seduta della Corte di Cassazione francese. Il protagonista assoluto è stato colui che ha oggettivamente mandato al macero una storia settantennale che porta il nome del Generale Charles De Gaulle: Nicolas Sarkozy, ultimo presidente gollista (o neo- gollista, se si preferisce) che ha immaginato la Repubblica come una sorta di cortile di casa sua.

Tanto nella vicenda che ha coinvolto Michel Platini, interrogato e rilasciato dagli inquirenti nella caserma di Nanterre, concernente l’assegnazione del Mondiale di calcio del 2022 all’Emirato del Qatar, quanto nella non meno confusa storia di corruzione per l’attribuzione di un prestigioso ufficio giudiziario, il protagonista di primo piano ( se non assoluto) è Sarkozy, a cui carico risultano altre non meno devastanti inchieste a cominciare dai finanziamenti ottenuti da Gheddafi per la sua campagna elettorale del 2007 e finendo con la condanna politica e morale per aver scatenato la guerra contro la Libia allo scadere del suo mandato, forse, si ipotizza, per coprire proprio quell’ “aiuto” finanziario del leader libico apertamente denunciato da chi troppo sapeva in Europa e nel mondo arabo.

L’eredità del gollismo è comunque finita nella polvere anche perché gli epigoni del Generale, tirando fuori dalla combriccola Jacqués Chirac che a suo modo, e pur commettendo errori non certo lievi, ha onorato tanto il mandato morale che quello politico, non sono stati all’altezza del costruttore della Quinta Repubblica, ingannando alla fine lo stesso elettorato di riferimento con la trasformazione del partito e delle istituzioni in “giocattoli” privati con i quali soddisfare improprie ambizioni.

Dal 6 maggio 2012, quando Sarkozy perse le elezioni presidenziali contro François Hollande, i tentativi di resuscitare il gollismo, sempre comunque intorno alla figura dell’ex- presidente, sono andati tutti a vuoto. La predilezione per la corruzione pubblica, l’affarismo privato, la mancanza di senso dello Stato che hanno segnato l’ultima ( o penultima) classe dirigente che si richiamava al padre più nobile che la Francia abbia avuto nel dopoguerra, hanno affossato una storia, per quanto travagliata, comunque alta e nobile in chi l’ha incarnata dopo l’uscita di scena del Generale fino all’apparizione di una serie di parvenu ambiziosi, dediti al politicantismo nutrito di personalismi e di egoismi di casta dei quali l’esempio più significativo è stato appunto Sarkozy.

Il gollismo, più che una dottrina politica è stato un “sentimento” della nazione, dello Stato ed una “interpretazione” della Repubblica come comunità di cittadini uniti da uno stesso ideale civile al di là delle divisioni ideologiche e degli orientamenti culturali. Il tutto proiettato nella figura di un presidente eletto direttamente dal popolo ( la Costituzione fu ispirata e per buona parte scritta da René Capitant ( ritenuto gollista di sinistra) nel quale la nazione poteva identificarsi perché sostenitore di indipendenza, autonomia, rispetto di popoli e culture quindi intrinsecamente anti- imperialista. In particolare De Gaulle sosteneva l’unione di tutti i francesi al di là delle differenze destra/ sinistra attraverso il rapporto diretto tra il capo dello Stato e il popolo mediato da una efficace politica sociale che lo portava a rifiutare il liberismo economico a vantaggio di uno statalismo organico al tradizionale centralismo statuale. Tanto il rifiuto del capitalismo quanto dei socialismi rivoluzionari, induceva il Generale a ritenere possibile la realizzazione di una “terza via” non diversamente da molti “conservatori sociali” dell’epoca gravitanti intorno sia a partiti cattolici che nazionalisti. Il che significò il dispiegamento di un “vasto programma” di progetti pubblici connessi ad una pianificazione economica avanzata che prevedeva perfino ( ma rimase sostanzialmente inattuata) una sorta di partecipazione dei lavoratori al- la gestione delle imprese: socializzazione e cogestione unirono in una prospettiva di pacificazione i francesi attorno alla figura di De Gaulle per un lungo periodo.

Il gollismo è stato tuttavia un movimento nel quale hanno convissuto diverse sensibilità politiche le quali lungi dall’originare guerre permanenti hanno fornito alla Repubblica quel concime politico che l’ha periodicamente rivitalizzata, perfino quando dovette cedere le armi all’antagonista di sempre, uno degli ultimi grandi statisti europei: François Mitterrand.

La decadenza del gollismo è incominciata quando si è trasformato in ” neo- gollismo” abbandonando l’originario anticapitalismo ed attenuando le tendenze “sociali” per aderire a posizioni liberali ed europeiste ( l’Europa delle Patrie peraltro era il grande sogno del Generale) piuttosto “mercantili”, dividendosi infine in correnti di potere piuttosto agguerrite. Fino all’avvento di Nicolas Sarkozy che oscurò Pompidou e Chirac, de Villepin e Séguin, Pasqua e Juppé. E rapidamente distrusse, con il suo attivismo concentrato sull’edificazione del suo potere personale e perfino per alcuni aspetti autocratico, un patrimonio ideale, culturale e politico che abbracciava indipendentismo nazionale, sovranità statuale, europeismo patriottico, partecipazionismo sociale. Con la trasformazione dell’Rpr in Ump nasceva la “Repubblica Sarkozista”: anche il neo- gollismo passava in archivio e viveva soltanto come richiamo retorico in alcune occasioni.

Poi sono arrivati i guai, ben prima che Sarkozy lasciasse l’Eliseo, ma gli effetti si sono prodotti anni dopo.

Nel novembre 2016, al tempo delle primarie dei Républicains – la più disastrosa delle esperienze politiche di Sarkozy dopo la sconfitta nel 2012 contro François Hollande – l’intermediario libico- libanese Ziad Takieddine affermò di aver consegnato tra la fine del 2006 e gli inizi del 2007 cinque milioni di euro in contanti prima a Claude Guéant, capo di gabinetto di Sarkozy e poi direttamente all’allora ministro dell’Interno che si preparava alla scalata presenziale. Per di più, l’ex- ministro libico del petrolio, Choukri Ghanem, morto in circostanze piuttosto oscure, nel 2012 aveva già dichiarato l’esistenza di finanziamenti libici a Sarkozy, mentre il noto ( in Francia ed ovviamente in Libia) uomo d’affari Bechir Saleh, che rimase anni fa ferito in una misteriosa aggressione a Johannesburg, aveva confidato a Le Monde che Gheddafi, senza nessuna riserva, andava dicendo di aver finanziato Sarkozy. Dunque, il presidente aveva o no interesse a liberarsi in qualche modo di Gheddafi fino a scatenare contro di lui un’insensata guerra che oltretutto andava a detrimento di un partner importante dell’Unione europea come l’Italia? L’interrogativo era e resta inquietante. Oltre al dato giudiziario, ce n’è uno politico. Sarkozy, già percepito dopo la sconfitta contro Hollande dal suo stesso mondo di appartenenza, come la personificazione del tradimento più grave recato al gollismo, comincia ad essere considerato come l’uomo che ha tradito perfino se stesso. Nel suo Témoignage, manifesto- programma fondante l’azione di rinnovamento del vecchio Rassemblement gollista, scriveva: «Io sponsorizzo una globalizzazione umana, che prometta l’emancipazione e il progresso dell’uomo e rifiuti ciò che lo schiavizza. La globalizzazione è un’occasione unica per generalizzare il rispetto dei diritti dell’uomo e della democrazia, rendere la conoscenza accessibile a tutti e permettere a milioni di uomini e donne di accedere allo sviluppo, tutte cose di cui ci dimentichiamo». Lo sosteneva nel 2006: cinque anni dopo, il 19 marzo 2011, portava l’inferno in Libia e bruciava sull’altare della sua ambizione e, si sospetta, dei suoi personali interessi, ciò che aveva sostenuto poco prima di dare l’assalto all’Eliseo, riducendo il Mediterraneo in un mare in fiamme, percorso da canaglie e da “dannati della terra”, mentre il Paese aggredito diventava un immenso campo di concentramento per profughi da “vendere” o farne miliziani assoldati dalle fazioni in lotta. Un macello, insomma.

Alcuni autorevoli intellettuali francesi sostennero la legittimità dell’operazione in Libia: primo fra tutti il solito porta- bandiera dei diritti umani “alla sua maniera”, Bernard- Henry Lévy che non si pose in quell’occasione in problema delle conseguenze della dissennata “campagna di Libia”.

Sarkozy, personificazione dell’arroganza di una destra poco credibile, ondivaga, alla perenne ricerca della mossa vincente senza mai crederci troppo, nell’autunno del 2016 avrebbe voluto perfino vestirsi come Marine Le Pen, se ne avesse avuto la possibilità, pur di essere simile alla leader del Front National alla quale tentò di rubare i temi politici per riconquistare il partito che lo stava abbandonando. Il giochetto non gli riuscì e non gli rimase che contare i dipartimenti e le città che lo avevano “tradito”, dopo che lui aveva tradito il suo stesso elettorato, buttando a mare sovranismo ed europeismo in salsa gollista, defiscalizzazione e lotta all’immigrazione illegale, riformismo e rinnovamento sociale per farsi sostanzialmente i fatti suoi che non hanno mai conciso con quelli della Francia e neppure con quelli degli alleati dell’Unione.

Non aveva messo nel conto che il francesi, ed in particolare i suoi sostenitori, non avevano ancora dimenticato quel brutto giorno, nel quale, convocati i partner europei all’Eliseo, si alzò dalla tavola dove stavano consumando il sorbetto alla fine di un pranzo piuttosto indigesto e annunciò al mondo, con rumorosi raid aerei, l’attacco alla Libia, complice il suo compare Cameron e con la benedizione discreta di Obama. Il disastro che ne seguì fu l’epilogo della sua permanenza al vertice della politica francese: regalò la presidenza ad Hollande e si portò via le inchieste giudiziarie ferme in ragione della posizione che occupava, ma riaperte un istante dopo. Ha passato più tempo negli ultimi anni con giudici ed avvocati che con elettori ed militanti.

Sarkozy è stato un leader ( o presunto tale) sostanzialmente infedele con chi ne ha favorito l’ascesa, a cominciare da Jacques Chirac e finendo con i suoi compagni di partito. Non ha mai espresso un’idea politica originale e convincente se non quando ha tentato di scippare un po’ di sovranismo a Charles Pasqua, un pizzico di nazionalismo dalla retorica gollista, un briciolo di identitarismo dalla destra lepenista. Di suo avrebbe voluto metterci quel tanto di realismo sociale che consentisse ai francesi di vivere un po’ meglio, ma non gli è stato possibile poiché le politiche stataliste incoerentemente perseguite mal si sposano con le leggi del mercato. E semmai avesse voluto tentare ardite combinazioni era altrove che doveva guardare, magari al di là della destra e della sinistra, alla nazione come il Generale gli avrebbe consigliato. Per di più non ha capito che adulterare idee e passioni prevalenti dell’elettorato allungandole, come si fa con il vino cattivo, ricorrendo a massicce dosi di politically correct, salvo poi rinnegarlo, non fa acquistare simpatie. Avrebbe dovuto lavorare alla costruzione di un fronte articolato identitario e nazionalconservatore quando ne aveva la possibilità, prima di perdere la faccia insomma.

Un volta disse – come riporta la drammaturga francese di origini iraniane, Yasmine Reza autrice di un reportage su Sarkozy al tempo della sua scalata, L’alba, la sera o la notte -: «Ho fatto tutto quello che dovevo. Ho fatto tutto fino in fondo». Chissà se c’è qualcosa che non rifarebbe, a nessun costo. Probabilmente non rinnegherebbe neppure la riunione segreta con i suoi più stretti collaboratori e con l’incauto Michel Platini alla luce di quanto è venuto fuori. Orgoglio e ambizione lo hanno distrutto insieme a ciò che poteva rappresentare: l’anima politica di De Gaulle. Il gollismo è davvero finito. La Francia non ha un Generale di riserva per poter ricominciare.