Ti sei appena operato di prostata e ne parli col tuo più caro amico, entrando nei dettagli più intimi, quelli che non diresti a nessun altro, nemmeno alla moglie. L’incontinenza è un problema fastidiosissimo, certo è assai peggio se ti tocca girare col sacchetto, ma l’umiliazione del pannolone non si batte. Il problema sorge col trojan: il tuo amico è un professionista molto in vista, fa grossi affari, cerca appalti, e viene intercettato. Il maresciallo pensa di aver capito che non si tratti affatto di prostata, chissà che c’è nel sacchetto pieno, e chissà quale fiume di quattrini passa per la vescica incontinente. In un batter d’occhio ti ritrovi sul giornale. Indagato lui, avvisato di garanzia tu. In ufficio ridono di te, alludono al passaggio «è quello che se la fa sotto». La trasposizione è automatica: farsela sotto non è più solo un fatto meccanico, è la caratteristica del pavido. Dunque, sei amico di un indagato e sei anche un fifone, tutto il contrario dell’uomo coraggioso e sicuro di sé che mostravi di essere. L’intercettazione pubblicata senza alcun filtro, mischiando fatti possibilmente penali a dati personali e insignificanti per le indagini, violando la tua privacy, sono la tua rovina. Per sempre. Finisci sul web, su google che non cancella più nulla per anni e anni. Chi digita il tuo nome ritrova subito l’intercettazione: Tizio? E’ quello che se la faceva sotto.

C’è chi è andato in galera perché il maresciallo ha capito mille voti invece di mille volte, e dunque l’equazione voti= soldi era prova di disonestà. Poi ci sono gli odiatissimi politici vittime di intercettazioni inventate, come è successo nel Caso Consip. Ci sono stati dettagli di flirt amorosi e di corna e di sesso che nulla c’entravano con mazzette o evasioni fiscali. Ma la gente ricorda quelli, i dettagli pruriginosi, le battute infelici o l’eloquio volgare nel segreto delle tue telefonate intime, dove ti sfoghi, accusi, minacci, tutto quell’armamentario che appartiene solo alla rabbia e all’immaginario che mai diventerà realtà. Certo, se un amministratore fa vincere l’appalto alla sua amante, allora non è più solo sesso e privacy.

Se vogliamo dirla tutta, anche l’intercettazione più scandalosamente mediatica, che riempie le pagine dei giornali e soffia sull’indignazione da quattro soldi, poi si trasforma inevitabilmente in una gogna, e non esiste processo che abbia più un percorso normale, la presunzione d’innocenza è automaticamente sostituita dalla condanna mediatica urbi et orbi, la ricerca della verità è inquinata. Dicono: bisogna pubblicare tutto, inchinarsi alla massima trasparenza perchè la gente ha diritto di sapere. E’ la stessa tesi che prevale tra i fanatici del web, infuriati perché Facebook ha timidamente iniziato a cancellare le pagine fasulle, tanto false da rivelarsi criminali. Le bugie hanno fatto vincere battaglie politiche, orientato gli elettori, sputtanato gli avversari col dolo. Ma quella non è censura, come vogliono farci credere. Nessuno intende cancellare le opinioni ( a parte le lenzuola censurate dalla Digos), un altro conto sono le falsità che vanno rimosse. Eliminare la spazzatura non lede alcuna libertà. L’intercettazione libera, senza rispetto dell’intimità e della privacy, diventa un fake dannosissimo.