Nella vulgata comune la separazione delle carriere appare come la piena realizzazione del sistema processuale adottato nel 1989, in cui, separando le carriere di giudicanti e requirenti, il P. M.

diventerebbe una semplice parte. Non solo, ma sempre in quest’ottica e nella propaganda, questo libererebbe il giudice da ogni legame con il P. M. e lo renderebbe più libero ed indipendente di decidere.

La realtà, sulla base dei pochi dati esistenti, non è certo quella di un giudice appiattito sui P. M, dato l’elevatissimo tasso di assoluzioni e proscioglimenti ( dal 30 % del collegiale al 50 70 % del monocratico). Ed anche i pochi dati esistenti sull’accoglimento delle richieste di misure cautelari da parte dei Gip evidenziano come venga fatto un vaglio serio per nulla influenzato dall’appartenenza ad una stessa magistratura.

Il problema evidentemente non è questo, né può essere quello di una colleganza che esiste, ma non incide sulle decisioni. Del resto se ci fosse un problema di colleganza da sminare, allora dovremmo pensare a carriere diverse per il primo e secondo grado.

Nè credo possa essere momento di condizionamento la partecipazione ai medesimi organi di autogoverno, cui del resto accedono ( sia pure non in tutte le materie) anche gli avvocati.

La proposta parte da un’interpretazione del codice come accusatorio e vuole la separazione per entrare pienamente nell’era dell’accusatorio, processo iniziato nel 1989 e sicuramente incompiuto, ma trascura non solo come la scelta del 1989 fu in realtà una soluzione ibrida che aveva solo qualche iniezione di accusatorio e come questa scelta si sia rilevata alla prova concreta assai disfunzionale.

Ma trascura come il ruolo del P. M. sia di parte solo nella fase post indagini, mentre in tutta la fase precedente il P. M. impersonando la necessità di accertamento da parte dello Stato di reati commessi da singoli individui, resti e debba restare comunque organo squisitamente pubblico e non parziale.

Non solo, ma proprio seguendo il codice del 1989 è stata attuata una fortissima distinzione delle funzioni che già oggi fa sì che i passaggi da una funzione all’altra siano quanto mai limitati ( come tra l’altro avviene con possibili passerelle anche in Paesi in cui vige formalmente la separazione delle carriere).

L’idea è che liberando il P. M. dell’usbergo della giurisdizione ogni equivoco verrà chiarito e il giudice potrà dispiegare pienamente la sua autonomia e indipendenza (che evidentemente oggi non avrebbe).

Credo che le prospettazioni scientifiche vadano rispettate, anche se le stesse dovrebbero cimentarsi con la realtà che quotidianamente viviamo nei Palazzi di giustizia. Ma credo anche che la pericolosità di una scelta del genere per la libertà e per le garanzie dei cittadini sia ampiamente sottovalutata.

Già oggi la fase su cui l’attenzione dell’opinione pubblica è massima è quella delle indagini. Non solo, ma anche sui mass media vi è la massima confusione tra i diversi ruoli ed è normale che un P. M. venga assimilato a giudice. Un domani questo sarebbe ancora più accentuato. Non solo, ma la differenza di carriere rischierebbe di produrre un P. M. indifferente alle ragioni del giudice, pienamente immedesimato solo nelle sue ragioni di difesa sociale attento solo al risultato, disposto ad incastrare l’imputato che ritiene colpevole con qualsiasi mezzo. Non solo, ma insofferente alle decisioni del giudice e pronto a denunciarlo per ogni richiesta non accolta. Se recentemente una Procura ha preso pubblicamente posizione difendendo il giudice che aveva assolto gli imputati, pur disattendendo le sue richieste, rimarcando e rispettando i diversi ruoli e la professionalità del giudicante, un domani avremo attacchi feroci che additeranno il giudice che assolve al pubblico ludibrio dei social e incidendo drammaticamente sulla sua autonomia.

Non si tiene conto di due fattori storici fondamentali.

Siamo in un Paese con accentuate radici autoritarie in cui il P. M. è sempre stato più forte e, se una cultura comune ed un costante confronto hanno reso centrale la giurisdizione, questo è dovuto alla vicinanza del percorso professionale. Ed inoltre siamo in un Paese che ciclicamente ripercorre le strade delle politiche securitarie, dell’iperpenalizzaziome, dell’esaltazione della punizione e del carcere.

Vogliamo regalare a questa cultura il P. M.?

Il giudice può essere indipendente se il P. M. è indipendente. A parole siamo tutti d’accordo, ma la realtà è molto differente. Anche senza la dipendenza formale del P. M. dall’esecutivo facciamo finta di ignorare che almeno per 40 anni dopo l’inizio della Repubblica il P. M. è stato, perlomeno in molte sedi fintamente indipendente, con la selezione dei Procuratori che doveva essere consona con la politica governativa, una rigida gerarchia interna ed indagini che non dovevano disturbare il manovratore. È stata proprio la riforma del 1989 ( ed un mutato clima culturale) che ha modificato l’art. 70 dell’Ordinamento giudiziario ed ha dato maggiore autonomia alle Procure consentendo anche indagini scomode. Ed è significativo che le polemiche scoppiate proprio in questi giorni sulle nomine riguardano tutte nomine di Procuratori, riconoscendo che il loro ruolo, ben più di quello dei giudici, è essenziale per pilotare indagini ed orientamenti.

La mia convinzione é che separando le carriere e arrivando a due Consigli superiori ( con tra l’altro una ben più ampia presenza della politica) rischiamo di creare un mostro: un P. m.

fortissimo, feroce, indifferente alle ragioni degli indagati, insofferente per decisioni giudiziarie non consone, ma sensibile alle strette repressive auspicate dall’esecutivo. Un mostro che non avrà più quel quotidiano confronto con il giudice e quel rispetto di parte verso l’avvocato, ma una totale contrapposizione, introiettando le esigenze di difesa sociale e facendosene portatore.

Una prospettiva che mi spaventa e su cui credo che anche gli amici avvocati debbano riflettere.

*Presidente Corte Appello Brescia