La vicenda degli striscioni anti- Salvini e Di Maio, rimossi con grande solerzia dalle Forze dell’Ordine o dai Vigili del Fuoco, può essere archiviata con un sorriso di compatimento e un’alzata di spalle. Forse, però, merita una riflessione.

Sia chiaro, in questi tragicomici episodi non si intravede alcun terribile rischio per la nostra democrazia. Anche sforzandosi di vedere un fascista a ogni angolo di strada, non emerge un piano, nessuna subdola volontà di soffocare voci libere. Piuttosto, questa corsa alle lenzuola fa riemergere una caratteristica atavica del nostro Paese: la cortigianeria.

Lungo i secoli e lungo lo stivale (‘ cortigiani, vil razza dannata’, nel Rigoletto di Giuseppe Verdi), i potenti spesso non hanno dovuto muovere un dito o pronunciare una sola parola, perché zelanti eserciti accorressero in loro supporto. Sono i ‘ più realisti del re’, gli agili e sempre freschi campioni del salto sul carro del vincitore. Lo striscione rimosso dalla Digos la scorsa settimana a Roma rientra perfettamente in questa casistica e lo fa con la più spettacolare e surreale delle motivazioni: l’intervento della forza pubblica si sarebbe reso necessario per il rischio che il temerario lenzuolo deturpasse il paesaggio, in particolare il decoro del Pincio ( sic).

Oltre che irresistibilmente comica, la spiegazione fornita deve essere apparsa così sfacciata, da costringere gli stessi vice- premier a correre ai ripari, per evitare un devastante effetto boomerang. La cortigianeria, del resto, è così: irrefrenabile e potente, come solo i tic sanno esserlo. Se il vento spira in una direzione, se i toni vincenti sono alcuni piuttosto che altri, una fetta di italiani si adatta all’istante. Acquisisce movenze, linguaggio, look del potente di turno. Lo fa con una tale naturalezza, da far dimenticare di essere stato in altri panni, fino al giorno prima.

Non c’è da temere, ne vestirà di opposti appena necessario. Un talento naturale, persino ammirevole nella capacità di rigenerarsi senza sosta. Tornando allo striscione del Pincio e alla sua ingloriosa fine, un povero cittadino non ancora impegnato nel salto della quaglia potrebbe chiedersi come mai certe scritte imbrattino i muri sotto casa da anni, scoloriti dal tempo e non certo dall’intervento di una mano pubblica. Escludendo l’invisibilità, non c’è spiegazione diversa dal menefreghismo, dall’incuria e dal ben poco decoro, rispolverato - guarda un po’ - per la paura di far dispiacere i vice- premier. Quello stesso cittadino potrebbe chiedersi, allora, se non sia il caso di ricoprire buche, ammassi di spazzatura e cassonetti semi bruciati con striscioni anti Di Maio o anti Salvini, nella speranza che qualche zelante funzionario li noti e con loro anche l’immondizia e le voragini.

L’Italia, così, è quel paese in cui la Digos si preoccupa improvvisamente del decoro al Pincio, ma in cui, nelle stesse ore, si muore perché colpiti in testa da un cornicione. Di quel palazzo pericolante di Napoli nessuno si era preoccupato e occupato, fino alla tragedia di sabato. La sciatteria istituzionalizzata e il patetico rincorrere le attenzioni del potente di turno, in fin dei conti, sono due facce della stessa medaglia. La peggiore Italia.