Vito Mancuso, teologo e filosofo, non ha paura delle macchine: «Ho paura degli uomini che usano le macchine». Ma non per questo si sente un passatista: «Macchè, pensi che mi considerano un eretico».

E quindi, professore, che si fa: mica si possonno eliminare le macchie. E tanto meno gli uomini...

«Penso che la tecnologia sia fonte di paura perché le persone avvertono che manca un controllo. Poi però c’è qualcosa di più profondo da analizzare. La tecnologia è la cartina di tornasole di ciò che vogliamo essere. Ci sono elités, ristretti gruppi di potere, ai quali la tecnica consegna un grande potere o che, all’inverso, se ne servono per accrescere il proprio. E non sappiano quale si il vero fine di questo concentrazione di potere. Dunque il problema vero dell’umanità è interiore: l’uso e la finalità di quella energia libera che è dentro di noi, che ci fa essere umani, imprevedibili, non tecnici, creativi, caotici, artisti, indisciplinati o alla ricerca di una disciplina di tipo superiore».

Sta parlando dell’anima, vero professore?

Qualcuno, e io tra questi, la può chiamare anima. Altri possono chiamarla spirito; un altro mente; un altro ancora coscienza, Sè, inconscio e così. Le etichette cambiano a seconda delle provenienze. Certo, io nei miei studi e nei miei libri mi riferisco a questa energia libera che è dentro di noi chiamandola anima. Che tra l’altro viene dal greco ánemos che vuol dire vento. Anche spirito ha la stessa radice. E la mente degli antichi - sia in greco che in latino, in sanscrito, in ebraico - si rifà allo spirito inteso come aria, un vento che ci fa vivere.

Scusi professore ma perché tutto questo dovrebbe farci paura? Avere l’anima, li spirito, dovrebbe renderci più forti di tutto. Anche delle macchine.

Avere l’anima, declinare l’intelligenza umana è ciò che ci ha consentito di costruire le macchine. Il problema è che se quest’anima non viene educata poi nessuno sa che uso verrà fatto delle macchine che è in grado di realizzare. Quale potenza potrà da loro scaturire e per quali obiettivi.

E poiché nella gran parte dei casi sono controllate neanche da gruppi politici o imprenditoriali bensì da “entità”, chiamiamole così, da gruppi di potere transnazionali più forti degli Stati- Nazione, è una cosa che incute timore, che fa paura. Perché non esiste alcuna garanzia che quel tipo di potere sia usato in maniera conforme a ciò che chiamiamo umanità. Ossia come dicevo la possibilità di rimanere caotici, imprevedibili, umani. Potremo essere sicuri di rimanerlo? O verremo tutti trasformati in meccanismi più o meno controllati? Non so se questa paura sia fondata o meno. Di sicuro so che c’è.

E allora, professore, quali sono gli anticorpi da mettere in circolo per azzerare quel tipo di paura? Dobbiamo pensare ad un algoritmo diverso, “democratico”?

Guardi, ognuno ha le sue ricette. Lei sta parlando con un teologo che interpreta la filosofia come teologia e viceversa. Pere me le due cose coincidono. Non è lo stesso per altri teologi e filosofi per i quali deve esserci separazione tra le due cose. Io appartengo a quella scuola della filosofia classica che ritiene la teologia parte integrante della filosofia, secondo il pensiero di Platone, che tra l’altro ha coniato il termine di teologia. Cosa vuole che le risponda. E’ ovvio che per me la ricchezza massima, lo strumento per governare questo grandissimo problema è il lavoro interiore. Io penso che l’etica, la spiritualità oggi siano uno strumento indispensabile del kit di sopravvivenza dell’umanità in quanto tale. Penso che la tecnologia, negli aspetti positivi e negativi che porta con sé, è una specie di grande cartina di tornasole che fa emergere cosa effettivamente siamo e vogliamo essere. Se vogliamo essere solo volontà di potenza e rapacità, se l’umanità è davvero questa cosa che ha descritto Nietzsche e 2400 anni prima di lui Platone attraverso Trasimaco nella Repubblica e Callicle nel Gorgia: se hanno ragione loro, la tecnologia sarà dominio di quei pochi che vorranno controllare le masse e noi saremo i controllati, i dominati. Gli strumenti affinati dalla Tecnica saranno tali da sedurci tutti. Come già accade per molti aspetti. Basta parlare con un qualunque insegnante di scuola per raccogliere la preoccupazione riguardo i cali continui di concentrazione dei ragazzi, della minore capacità di leggere, di analizzare, di pensare.

Questo è il dramma che viviamo. Io sono ottimista per pensiero e formazione. Ma essere ottimisti non significa non vedere che c’è il rischio che venga meno ciò che ci costituisce sapiens, ciò che ci costituisce uomini. Se hanno ragione i sostenitori di Nietzsche dovremo adeguarci. Se hanno ragione quelli che come me seguono Platone, pur accettando il fatto che non siamo angioletti ma coltiviamo dentro di noi anche la volontà di potenza, nel nostro spirito di fondo siamo anche cooperazione, relazione, capacità di dialogo, umanità allora riusciremo anche a controllare in maniera umana la tecnologia e smetteremo di averne paura. E i robot, invece di essere macchine in grado di prendere possesso di noi, saranno amici che ci aiuteranno a non fare lavori pericolosi, ripetitivi.

Io non ho paura delle macchine: ho paura degli uomini che le usano. Il problema sta qui. Quell’energia libera, indeterminata, che ci appartiene e che può produrre paradisi meravigliosi, una società più umana oppure al contrario produrre schiavitù, disumanità.

Stiamo parlando di possibile distopie: è così che vengono definite, no?

Esatto.

Professore, lei ha parlato di “entità” che manovrano le tecnologie per fini che non conosciamo. Però c’è anche un’altra narrazione: di chi sostiene che il Web, la Rete, moltiplica all’infinito la possibilità di connessione e di partecipazione, segnando i nuovi confini della democrazia. Digitale e sterminata. Chi ha ragione?

Guardi, non sono un esperto di queste cose. Tuttavia io penso che la capacità di ponderazione, di riflessione non possa venire dalla Rete. Quella capacità, che ci rende umani, io ritengo venga dai libri. Dalla parola orale, dalla trasposizione in parola scritta, dall’insegnamento, dalla formazione. Dalla scuola, insomma. Siamo soli davanti alla pagina di un libro e leggendola acquisiamo formazione e non solo informazione. Poi la Rete può diventare il luogo in cui le persone formate, che hanno discusso, che hanno studiato la storia, la filosofia, che si sono confrontate con le proprie idee e quelle di altri, magari opposte, l’hanno fatto - insisto - con rispetto: perché il rispetto delle idee non solo formale, non solo tipo tolleranza bensì anche la curiosità verso l’avversario, possono ritrovarsi e confrontarsi. L’avversario dicevo: non a caso. Io ho letto Nietzsche come avversario ma quasi ogni giorno ho a che fare con lui. Perché capisco quanto le obiezioni che arrivano dal suo pensiero a Gesù, Platone e Kant - i tre idioti, li definiva - poi diventino utili per me, per radicare i miei convincimenti o per rivederli. Dalle mie esperienze e nient’altro penso di poter dire che tutto questo la Rete non lo rende possibile. Perché in quell’ambito, in quel perimetro relazionale, nasce e si sviluppa la risposta aggressiva, rozza, polemica. Io ritengo che la formazione alla quale faccio riferimento può arrivare dal dialogo di tipo platonico.

Scusi professore, ma non stiamo parlando di una battaglia già persa? Non siamo già talmente pervasi da questa rivoluzione tecnologica che crea nuove dipendenze che l’idea di tornare all’uso dei libri appare anacronistica?

Eh sì, è vero. Questa battaglia rischiamo di perderla. Almeno in Italia, in altri posti la situazione magari è diversa. Penso per esempio che in Svizzera le cose siano diverse. Come le dicevo sono le scuole la frontiera decisiva.

E come sviluppare un pensiero critico che ci consenta una capacità di discernimento dei possibili pericoli?

Bisogna distinguere la risposta individuale da quella sociale. Se dovessi parlare ad un singolo, ad un ragazzo, gli direi due parole: Natura e Cultura. Il contatto con la natura, con il mistero della Natura, non un contatto turistico. Quando parlo della Natura parlo del rapporto vero che con essa avevano gli antichi. E per la Cultura mi riferisco alla grande musica, ai libri. Certo a tutti: ci sono libri che è meglio non leggere e altri, i grandi classici, che bisogna leggere e rileggere per tutta la vita. Se invece bisogna fare un discorso allargato alla società, non vedo altra strada se non la scuola. A mio avviso andrebbero completamente riviste quelle che un tempo si chiamavano le elementari. La questione non è scaricare sui bambini informazioni: quelle le attingono dappertutto. Il nodo è la formazione dell’essere umano: il rapporto con l’arte, con la creatività. Lo stare insieme, imparare a parlare e ad ascoltare gli altri. Imparare il silenzio: se stai in silenzio impari a pensare. E le cose che usciranno da te, che guideranno il tuo comportamento saranno azioni e non solo reazioni.

Professore, la seduzione che le nuove tecnologie esercitano sulle persone come può essere controllata in modo che non diventi capacità manipolativa? Come impedire che le entità che lei ha evocate possano indirizzare il pensiero delle persone, anche politicamente, su questo o quel percorso?

Intanto va detto che quel pericolo esiste, è reale, è una minaccia contro la quale intendo impegnarmi a contrastare. Sempre più lasciamo la democrazia per immergerci in una plutocrazia dove il denaro diventa la garanzia per essere eletti. Per chi ha più denaro lo usa per la propaganda. Quale argine porre? Io non ne vedo altri che la Cultura. Nel kit di sopravvivenza dell’umanità la dimensione etica, spirituale, culturale sono attrezzi indispensabili. Se c’è una mente responsabile è capace di distinguere e capire. Altrimenti torniamo al panem et circensem. Spinoza diceva che gli esseri umani sono guidati da piacere, ricchezza e onori. Se li spingiamo a ricercare qualcosa di diverso - Bene, Giustizia, Bellezza insomma qualcosa di più grande di Sè, potranno capire e discernere. Altrimenti ci saranno praterie per i ciarlatani».