Il 27 maggio scorso, Fca, Fiat Chrysler Automobiles, presenta una proposta di fusione 50- 50 al gruppo francese Renault. Se il progetto andasse in porto si creerebbe il terzo gruppo nel mondo, con un fatturato di circa 170 miliardi di euro, capace di immettere sul mercato circa 9 milioni di autoveicoli: nel 2018 Renault, con 183mila lavoratori in 37 Paesi e che ha in pancia anche i marchi Dacia, Lada, Renault Samsung Motors, Alpine e la cinese Jinbei & Huansong, ne ha venduti oltre 3.8 milioni; mentre Fca con i marchi Jeep, Dodge, Ram, Chrysler, Alfa Romeo Fiat, Maserati Lancia, Abarth ne venduti 4.8 milioni.

Renault ha però un’Alleanza strategica con Nissan e Mitsubishi – da cui peraltro è venuto un terzo dell’utile netto dello sorso anno – e a oggi è il gruppo franco- nipponico a occupare la terza posizione con 10.360.992 veicoli prodotti nel 2018 dietro a Toyota e al Gruppo Volkswagen. Se il progetto di fusione coinvolgesse anche Nissan e Mitsubishi nascerebbe addirittura il primo produttore al mondo, con 15 milioni di vetture l'anno, superando di gran lunga Volkswagen e Toyota.

A parte i numeri impressionanti, però la “strategia” dell’accordo sarebbe tutta basata sulle tecnologie del futuro per quanto riguarda i modi di produzione e il tipo di auto: Fca è in una posizione di forza finanziaria rispetto ai francesi, è presente in mercati dove i francesi non ci sono, ma è più debole sul versante delle piattaforme e non ha sottomano tecnologie chiave per l’elettrificazione; al contrario il gruppo Renault, grazie anche al partner giapponese, dispone di architetture modulari all’avanguardia che permettono di costruire vetture diverse, dai suv alle berline di ogni marchio e di tutti i tipi compresi quelli elettrificati.

La sfida è con la piattaforma Mqb del gruppo Volkswagen. E qui veniamo alla questione nodale: con le norme sulle emissioni previste per il 2020 o si emette poca anidride carbonica oppure si è fatti fuori; la soluzione si chiama elettrificazione. Il gruppo Renault ha in “magazzino” le tecnologie necessarie, del resto sono tra i pionieri dell’auto elettrica e Nissan è in questo momento il vero leader mondiale delle auto elettriche.

Il governo francese – che è azionista di Renault al 15,01 percento – mostra interesse ma prende tempo. i partner giapponesi di Nissan – azionista al 15 percento, due rappresentanti sono nel Cda di Renault – mostrano interesse ma prendono tempo. Tra gli entusiasmi generali, si avvertono le prime perplessità: i sindacati francesi sono preoccupati per i livelli di occupazione, il fondo Ciam, azionista di Renault, scrive una lettera al Cda criticando la proposta di Fca, de- finita "un'acquisizione" e non una fusione alla pari, che "sottovaluta totalmente" Renault; nel mondo politico iniziano le “grida sussurrate”: brucia ancora la vendita ( del ramo energia) di Alstom, fiore produttivo all’occhiello, agli americani di General Electric, firmata da Macron, quando era giovane e rampante ministro dell’Economia del primo ministro Valls, ma anche quella di Alcatel ai finlandesi di Nokia. Si parla di “de- industrializzazione” della Francia.

Si cercano soluzioni: il board di Renault chiede a Fca un adeguamento dei rapporti di concambio – era la perplessità del fondo Ciam – puntando a valorizzare Renault intorno ai 17 miliardi rispetto ai 15 miliardi inizialmente ipotizzati nell’ambito della fusione con Fca; Fca prospetta un dividendo straordinario come operazione preparatoria alla fusione: la strada sarebbe la distribuzione anticipata della cedola agli attuali soci di Fca, per livellare i valori di mercato dei due gruppi. Il governo francese chiede allora ulteriori rassicurazioni sulla tutela dei posti di lavoro, con penali a Fca in caso di tagli all’occupazione: accettate. Parigi poi diceva sì alla sede legale in Olanda, e alle quotazione alle Borse di Parigi, New York e Milano, ma insisteva perché venisse conservata una sede operativa a Boulogne Billancourt, alle porte di Parigi, dove l’avventura di Renault cominciò nel 1899: accettata. Si capisce presto che, perciò, non è una questione di piccioli.

«Non vi sono attualmente in Francia le condizioni politiche perché una simile fusione proceda con successo» – questo dice Fca nel comunicato con cui dichiara di ritirare la proposta di accordo con Renault.

«Non ci sono in Francia le condizioni politiche». E le “condizioni politiche” hanno un nome e un cognome e si chiamano Bruno Le Maire, ministro dell'Economia, che mentre il board di Renault era riunito per sigillare l'intesa con Fca chiedeva di non avere fretta a chiudere e che c’erano ancora condizioni da rispettare, nell'interesse di Renault e della Francia: «Prendetevi il tempo per fare le cose bene». E invitava a un ulteriore rinvio di cinque giorni, forse anche per capire esattamente le scelte di Nissan, che era passata da un’iniziale apertura a una sempre maggiore ostilità, fino a paventare la riscrittura degli accordi di Alleanza con Renault.

Ora, Le Maire parla di una inaccettabile “pressione” di Fca e che il suo presidente, John Elkann, l’avrebbe messa in una forma di “prendere o lasciare”. Ma colpisce di più il comunicato del gruppo Renault. Nella nota di Renault si esprime infatti «disappunto per non poter continuare a perseguire la proposta avanzata da Fca che costituiva un'opportunità al momento giusto, con un'avvincente logica industriale e un grande merito finanziario».

L'operazione, sottolinea la casa francese, avrebbe portato a «un gigante dell'auto basato in Europa». Ora, Fca punta a un possibile accordo con PSA, che riunisce i marchi Peugeot, Citroën, DS, Opel e Vauxhall Motors. Sarà vero? Per reggere la competizione a livelli globali, le case automobilistiche puntano sulla concentrazione e sulle tecnologie: il motore a scoppio, quello di cent’anni fa, non è più proponibile. Ma anche la flessibilità delle piattaforme, per realizzare più modelli, è una carta vincente – rispetto la classica “catena di produzione” fordista. La politica sembra piuttosto sempre preoccupata dei risultati “a breve”. La globalizzazione liberista ha davvero creato un mondo imperfetto.