La corte d'Assise di Macerata ha condannato all'ergastolo il pusher nigeriano Innocent Oseghale, ritenuto responsabile dell'omicidio e dell'occultamento di cadavere di Pamela Mastropietro. La condanna prevede anche l’isolamento diurno per 18 mesi mentre la violenza sessuale è stata assorbita dalle aggravanti. Al momento della sentenza erano presenti in aula i genitori di Pamela, parenti e amici. La decisione è arrivata dopo una camera di consiglio che era iniziata ieri poco prima delle 15 e si era protratta per circa 5 ore.

Per l'accusa, il nigeriano ha violentato la ragazza approfittando delle sue condizioni di inferiorità, considerandola “uno strumento per soddisfare la sua cupidigia sessuale” e, forse di fronte alla reazione della vittima che voleva andare via, l'ha accoltellata con due fendenti al fegato e poi ridotta a pezzi per disfarsi del cadavere. Oseghale aveva confessato di aver smembrato il corpo di Pamela e di aver abbandonato i suoi resti, ma aveva sempre negato di averla violentata e poi uccisa: i suoi difensori Umberto Gramenzi e Simone Matraxia avevano chiesto l'assoluzione per le prime due accuse.

Per questo sui social si era come sempre scatenata la platea dei leoni da tastiera che ignari della Costituzione avevano chiesto la pena di morte per Oseghale e minacciato pesantemente i suoi legali. L’avvocato di parte civile, Marco Valerio Verni, zio di Pamela, che difende gli interessi della famiglia Mastropietro, aveva chiesto un risarcimento di un milione di euro. Il racconto della tragica morte di Pamela è noto: è l'alba del 31 gennaio 2018 e all'interno di due trolley abbandonati nella campagna poco distante da Macerata, viene ritrovato il cadavere fatto a pezzi di una giovane donna: le membra sono perfettamente pulite, senza tracce di sangue.

Quei resti appartengono a Pamela, romana di 18 anni, fuggita due giorni prima dalla comunità Pars di Corridonia, della quale era ospite. Pamela è una ragazza fragile, “bordeline” secondo chi ha studiato la sua personalità. Gli investigatori, coordinati dal capo della procura Maceratese, Giovanni Giorgio e dal sostituto Stefania Ciccioli, impiegano poche ore per ricostruire il suo percorso fino a Macerata. I carabinieri, che già erano sulle tracce della ragazza dopo la denuncia di scomparsa presentata dalla mamma, fermano un nigeriano. È Innocent Oseghale, 30 anni, con in tasca un permesso di soggiorno scaduto nel 2017, pusher già noto alle forze dell'ordine.

A inchiodarlo alcuni testimoni e le immagini delle telecamere che portano gli investigatori fino ad una mansarda presa in affitto dalla compagna di Oseghale. Lì il Ris rinviene i vestiti insanguinati di Pamela. Oseghale nega ogni responsabilità - “Pamela l'ho lasciata viva in casa, è stata uccisa da un'overdose di eroina” - ma finirà in carcere. A complicare la trama arriva un pentito di mafia, l'ex '' ndranghetista crotonese Salvatore Marino, che rivela al pm le confidenze che Oseghale gli aveva fatto in carcere. Il supertestimone e i risultati delle indagini autoptiche e tossicologiche su Pamela cementano l'intero castello accusatorio della procura maceratese nel processo davanti alla Corte d'Assise che si è aperto il 13 febbraio scorso e chiuso ieri con la condanna all’ergastolo.