Il “trasferimento” di Nino Di Matteo dal neo costituito pool che deve occuparsi delle “entità esterne nei delitti eccellenti di mafia” offre lo spunto, oltre che per una riflessione sui compiti della Dna, anche per un approfondimento sull’applicazione della circolare sull’organizzazione degli uffici di Procura emanata lo scorso anno dal Csm.

A partire da un dato: come prevede la normativa, la Direzione nazionale Antimafia non ha funzioni investigative ma di coordinamento delle indagini delle Procure distrettuali. Anche se va ricordato come le sia anche possibile avocare le indagini condotte da una Procura che abbia dimostrato grave inerzia o che non si sia coordinata con le altre.

Riguardo l’organizzazione dell’ufficio, invece, la Dna, come ogni altra Procura, deve trasmettere al Csm il proprio progetto organizzativo - comunque immediatamente esecutivo una volta adottato dal procuratore - per le valutazioni di competenza. Valutazioni che non possono in ogni caso incidere sulle scelte del capo che devono limitarsi al massimo a un’attività di “moral suasion”.

Di Matteo, da circa due anni in servizio presso la Dna come sostituto, è stato allontanato la scorsa settimana dal procuratore nazionale, Federico Cafiero de Raho, dal pool sui “mandanti esterni” per aver raccontato durante la trasmissione televisiva “Atlandide” alcuni dettagli di vicende giudiziarie passate.

In particolare, la presenza di un guanto con tracce di Dna femminile e di un foglietto con il numero di un funzionario dei servizi trovati sul luogo della strage di Capaci. O che Pietro Rampulla, l’uomo che fornì il telecomando per la strage, fosse un estremista di destra. E infine l’interesse di Giovanni Falcone per gli elenchi di Gladio. Elementi non nuovi alle cronache che sono stati di contro sufficienti a disporre il trasferimento di Di Matteo dal pool in questione, composto da Francesco Del Bene e Franca Imbergamo.

Come è stato fatto rilevare, tecnicamente non ci sarebbero state violazioni del dovere di riserbo, non avendo Di Matteo raccontato dettagli di indagini in corso. Il trasferimento rientrerebbe, quindi, nella predetta discrezionalità del procuratore nell’organizzare il suo ufficio.

Un segnale, forse, verso la sovraesposizione mediatica di qualche toga e un invito alla sobrietà su una materia di estrema delicatezza come quella del contrasto alla mafia.