Avete schiacciato i socialisti? Sì, nel ’93. Eppure piccole sacche di resistenza intellettuale sono dure a farsi stritolare, non foss’altro perché al traffico di influenze non si è ancora accodato il reato di eccesso colposo di legittima attività cerebrale. E così Sergio Pizzolante, craxiano purissimo ed ex parlamentare di Forza Italia, tra i pochi veri intellettuali in servizio permanente effettivo del centrodestra di ascendenza socialista, si ostina a dire la verità. Sui dati della corruzione, per esempio.

«Sono tutti in calo. Basta guardare quelli diffusi dal ministero dell’Interno. E, cosa ancora più divertente, basterebbe dare un’occhiata alla relazione introduttiva che accompagna proprio la legge spazza corrotti. Vi si ammette che solo il 23 per cento delle ipotesi di corruzione formulate dai pm si traduce in sentenze definitive. La grancassa delle indagini, amplificata all’ennesima potenza dal sistema mediatico, tre volte su quattro non regge alla verifica del processo. Ma non lo dice nessuno».

I dati parlano chiaro. E non si può neppure minimizzare con la solita storia secondo cui la corruzione è invisibile perché si regge su un patto di complicità: due giorni fa il Rapporto Onu ha detto che è il nostro sistema della prevenzione, basato sull’Anac, a essere un modello virtuoso.

È tutto molto semplice: in questi ultimi anni la lotta alla corruzione è aumentata o diminuita? E il ruolo dei pm? E ancora, l’attenzione della stampa, gli strumenti messi in campo contro la corruzione, dalle leggi all’Anac, sono aumentai o diminuiti? E l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati?

Tutto aumentato.

Bene. E allora due sono le cose: o tutto questo grande sforzo è stato un fallimento, o ha prodotto un effetto. Tertium non datur. Non si può dire che l’adozione di così tanti strumenti di lotta alla corruzione non sia stata un fallimento e, nello stesso tempo, dire che c’è l’emergenza corruzione.

No, non si può.

E infatti i dati parlano: nelle statistiche del Viminale o in quelle dell’introduzione alla spazza corrotti i reati contro la pubblica amministrazione sono tutti in calo di circa il 40 per cento, mentre solo al 22- 24 per cento delle ipotesi di corruzione formulate dai pm corrisponde un giudicato che confermi l’accusa.

I dati parlano chiaro: e allora perché si continua a dire che c’è un’emergenza corruzione?

In questi anni la lotta a tale asserita emergenza non ha rappresentato una lotta perla giustizia ma una lotta per il potere.

E questa lotta per il potere va avanti?

Basta leggere lo splendido saggio di Mauro Calise su “La democrazia del leader”. C’è un capitolo intitolato “Il fattore M”: sta per Magistratura e Media. Spiega come la lotta alla corruzione in questo Paese sia stata lo strumento attraverso cui il potere del sistema giudiziario e mediatico è cresciuto a danno del potere esecutivo e del potere legislativo, messi letteralmente in un angolo.

La dinamica è solo interna al nostro Paese o è stata agevolata da influenze straniere?

Breve riepilogo. Tutto inizia con il crollo del muro di Berlino. Che ha cambiato la storia non solo per i Paesi al di là del muro ma ha fatto saltare anche il sistema al di qua. Che fino a quel momento aveva retto grazie al finanziamento illecito, necessario in particolare in Italia per fronteggiare il più grande Partito comunista d’Occidente. E fino a quel momento i nostri alleati avevano preservato il nostro sistema politico e democratico. Dopo l’ 89 quei meccanismi di difesa sono caduti.

E l’ondata giustizialista non ha più trovato argini.

In realtà non solo gli argini esterni sono venuti meno ma, come ricostruito in tanti saggi, si sono messe in moto influenze notevoli con l’obiettivo di cambiare il sistema politico italiano. E infatti i cinque partiti sui quali si era retta la nostra democrazia sono stati inceneriti.

Ma è stata tutta una strategia per spingere altri partiti o piuttosto una scientifica delegittimazione della rappresentanza democratica in sé?

Con la sua “Fine della storia” Fukuyama ha teorizzato che di fatto la dialettica politica non sarebbe più stata necessaria. E che il mercato, virtuoso in sé, sarebbe bastato a regolare tutto. Invece ha prodotto la mostruosa crisi finanziaria del 2008. Con un paradosso: la politica ne è uscita ancora più con le ossa rotte. Perché è apparsa impotente nell’arginarla, quella crisi. In realtà era già stata depotenziata e svuotata a partire da Tangentopoli. In quella fase, mentre il “fattore M” ha proseguito inesorabile nella propria azione, si è assistito anche all’emergere di norme suicide.

A cosa si riferisce?

All’introduzione di nuovi reati associativi e generici si è aggiunto il clou del traffico di influenze. Che ha dato ai pm un potere enorme e reso l’attività politica tecnicamente illegale. D’altra parte quella legge è stata definita sotto la regia di un governo come quello di Monti, che in quanto esecutivo tecnico sta agli antipodi della democrazia. Quando passò, mi alzai in Parlamento e dissi: con questa norma siamo tutti momentaneamente in stato di libertà.

Fantastico.

Lo dissi anche ai parlamentari cinquestelle: sarebbe bastato presentare qualche amico a un amministratore del proprio partito per diventare destinatari di una richiesta di arresto. E considerato che il parlamentare detiene una capacità di influenza proprio in virtù della sua funzione, conserva tecnicamente la capacità di commettere quel reato. Il che è il presupposto della misura cautelare. Vai in galera in quanto deputato.

Come reagirono?

Ci fu una sollevazione. Nulla riesce a fermare questo processo suicida. Vero è che per alcuni anni l’emergenza corruzione si è un po’ sopita. È riesplosa ora con lo sfigato di Varese e l’altro sfigato di Legnano. E sa perché?

Ecco: perché?

Perché chi è stato attore di questa lotta per il potere condotta sotto la veste della lotta alla corruzione, è andato al governo. Attraverso i cinquestelle, che sono imbevuti della dottrina Davigo, e che però negli ultimi mesi soffrivano una crisi di consenso a vantaggio della Lega. L’emergenza corruzione è stata scatenata a partire da questo. Non a caso gli indagati sono tutti di centrodestra o comunque avversari del M5s.

Ma a furia di far passare qualche sfigato, come lo chiama lei, per grande tangentista, a furia di esagerare, intendo, non è che l’opinione pubblica s’accorge finalmente dell’inganno?

Ci credo poco. Sono trent’anni che non se ne accorge. L’azione dei pm è perennemente sostenuta dal clamore mediatico. D’altronde il Movimento cinque stelle è andato al governo su questo, sul fatto che hanno raccontato agli italiani che si sono impoveriti perché i politici si sono arricchiti, e che i politici si sono arricchiti perché sono corrotti. E così che sono diventati il primo partito, non certo perché avevano messo nel programma il reddito di cittadinanza.

Ma la mobilitazione di una pur ristretta élite garantista, dall’avvocatura all’accademia, può fare breccia nell’opinione pubblica?

Va colta come un segnale importantissimo. Si assiste per la prima volta a una mobilitazione compatta della cosiddetta comunità dei giuristi: avvocati, professori di diritto e anche alcuni magistrati. Ho letto un’analisi del presidente delle Camere penali: spiega come l’emergenza corruzione sia il carburante di cui alcune forze politiche, alcuni ambienti culturali e alcuni poteri si alimentano per affermare il loro dominio. Sottoscrivo in pieno. Servirebbe una presa di posizione altrettanto esplicita e definitiva anche da parte degli industriali, tra i quali questa consapevolezza ormai è radicata. Ma hanno paura del sistema giudiziario. D’altra parte uno dei motivi per cui l’Italia non cresce è il suo spaventoso sistema giudiziario. E finché lo sciopero degli avvocati ottiene un trafiletto, mentre l’indagine su uno sfigato di Varese occupa 8 pagine sui maggiori quotidiani, sarà difficile far emergere la verità.