A dispetto dei toni stentorei, degli insulti, delle posizioni che sembrano contrapposte e inconciliabili praticamente su tutto, non è il prolungato duello fra Di Maio e Salvini il vero pericolo per la sopravvivenza del governo. In buona parte si tratta di campagna elettorale e comunque i due leader, nonostante i rispettivi eserciti mordano effettivamente il freno, preferiscono proseguire con la pur scomoda coabitazione piuttosto che affrontare il salto nel buio di una crisi nella quale il timone tornerebbe nelle mani del capo dello Stato, o, peggio, di dover stringere accordi anche più onerosi: con una Forza Italia che non vede l'ora di eliminarlo nel caso di Salvini, con un Pd deciso a far piazza pulita del rivale a sinistra per quanto riguarda Di Maio.

Ma quando lo scontro è tra il socio leghista e la magistratura, e a maggior ragione se di mezzo c'è la corruzione, il discorso cambia e il minuetto della falsa rissa studiata apposta per moltiplicare i consensi diventa reale. Di Maio può far accettare alla sua base elettorale quasi tutto in nome del contratto e della necessità di impedire a ' quelli di prima' di riprendere il potere. Se agita tanto spesso lo spauracchio di un Renzi in realtà costretto oggi nel cono d'ombra è proprio perché sa che pur di impedire a figure come Renzi o Berlusconi di tornare al governo gli elettori del Movimento sono disposti a ingoiare quasi tutto.

Non la corruzione però, e neppure lo scontro con la magistratura. Semplicemente perché è su quei temi e sul fare dei pm il solo faro nella corrotta notte della politica italiana che il movimento è nato e impetuosamente cresciuto. Tutto il resto, inclusa la ' lotta alla povertà' è contorno. Di Maio lo ha capito nei giorni difficili del caso Diciotti. La grande maggioranza dei parlamentari e persino dei militanti era contraria a concedere l'autorizzazione a processare il ministro degli Interni. Ma tra gli elettori le proporzioni erano rovesciate. Nei sondaggi il consenso dei pentastellati è andato a picco. Se la stessa esperienza dovesse ripetersi non più per una faccenda che almeno non riguarda la disonestà dei soci ma per casi di corruzione per i 5S sarebbe né più né meno che la fine. La stessa campagna contro la nuova tangentopoli, provvidenziale per un partito che annaspava da mesi, è un'arma a doppio taglio.

Dovrebbe permettere di recuperare consensi, e vedremo tra meno di una settimana se è davvero così e in quale misura. Ma allo stesso tempo mette la leadership in una situazione difficilmente gestibile, perché se si accusa un partito di essere la spina dorsale della nuova tangentopoli diventa poi impossibile giustificare la scelta di restare alleati proprio con quel partito. Non a caso la preoccupazione principale di Conte, in questi giorni, non riguarda la tenuta di una Lega presa quotidianamente a sganassoni dagli alleati ma quella dei 5S, che potrebbero non reggere più l'alleanza con un partito preso di mira dalle inchieste per corruzione.

La via d'uscita individuata da Di Maio, la richiesta di mettere automaticamente fuori dal governo chiunque sia anche solo indagato per corruzione, serve in realtà soprattutto a spiegare alla propria base, quasi preventivamente, la scelta di restare in maggioranza con la Lega. In un certo senso, e al contrario delle apparenze, è un tentativo di difendere il governo con la Lega, non di affossarlo.

La faccenda, già complicata perché per Salvini accettare quella condizione non è certo facile, si complica ulteriormente quando lo scontro con il potere togato si allarga ad altri campi, in particolare quello dell'immigrazione. Non si tratta di sospettare giochi di sponda tra il partito fondato da Grillo e una parte della magistratura: è probabile che il procuratore di Agrigento Patronaggio abbia deciso la sua mossa, studiata con fredda intenzione di colpire il più duro possibile anche nella tempistica, da solo e senza consultare nessuno. Ma la reazione annaspante di un Salvini colto di sorpresa a telecamere aperte, in una delle scene più clamorose nella storia sia della tv che della politica italiana, non ha trovato alcuna sponda nei soci. Il ministro Toninelli ha negato di essere al corrente della scelta del procuratore, ma la anche elogiata e applaudita.

Non potrebbe essere diversamente per un Movimento che ha sempre visto nel potere togato l'unica altra ' forza sana' del Paese. Per Salvini, dunque, il dilemma non è più solo tra l'accettare i colpi di freno alle sue misure degli alleati o far saltare tutto. Dopo le elezioni sarà anche la scelta tra difendere il governo accettando di evitare ogni scontro reale e non solo parolaio con la magistratura o correre l'alea di una crisi di governo che in realtà sarebbe completamente e da tutti i punti di vista al buio.