Avvocatura e magistratura hanno un orizzonte comune - la giustizia - e i tempi per un eguale riconoscimento dei due ruoli nella carta costituzionale sono maturi. Ad affermarlo è stato il vicepresidente del Csm David Ermini, nel corso del convegno organizzato e moderato dall'avvocato Alessandro Parrotta e patrocinato dalla Fondazione Fulvio Croce dal titolo “L’avvocato nella Costituzione: lo scenario attuale ed i progetti di riforma”.

Dopo il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che pochi giorni fa, in un incontro con il Consiglio nazionale forense a via Arenula, ha sottolineato ulteriormente l’importanza della riforma voluta dal Cnf, anche l’organo di autogoverno della magistratura ha dunque riconosciuto, attraverso il suo numero due, il valore della proposta, nata con lo scopo di rafforzare il ruolo dell’avvocato in modo da prevedere la libertà e l’autonomia del professionista e la necessità della difesa tecnica. «È da molti anni che si aspetta e ora credo che i tempi per uno sviluppo costituzionale della figura dell’avvocato siano maturi», ha spiegato Ermini.

Affermazioni alle quali ha subito risposto il presidente del Cnf, Andrea Mascherin, primo sostenitore della riforma. «Ringrazio il vicepresidente del Csm per il sostegno dimostrato con le sue parole di oggi ( ieri, ndr) sul nostro progetto di rafforzamento del ruolo dell'avvocato nella Carta costituzionale - ha affermato - Il riconoscimento dell’avvocato in Costituzione certifica con ancora maggior forza l’avvocatura quale presidio dei diritti di tutti e in particolare dei più deboli. Inoltre - ha concluso Mascherin - rafforzare la posizione dell’avvocato rappresenta un beneficio per la magistratura, perché consoliderebbe la complessiva autonomia della giurisdizione da ogni altro potere».

Il Csm, ha spiegato Ermini, «è impegnato da tempo nell’incoraggiare una comune cultura della giurisdizione tra magistratura e avvocatura, in modo che non vivano e si percepiscano come corpi separati l’uno dall’altro ma avvertano lo stretto legame che li unisce nel contribuire alla realizzazione dei diritti degli individui e alla promozione e difesa dei valori fondanti la società democratica».

Da qui il riferimento all’orizzonte comune, che «coincide con l’ideale della giustizia. Qui sta la ragione vera per la quale occorre esplicitare e rafforzare quei riferimenti impliciti già oggi in Costituzione. Proprio perché è per mezzo dell’avvocatura che prende sostanza la garanzia del giusto processo e del diritto di difesa, pietre angolari dello Stato di diritto», ha osservato ancora.

Il progetto di legge, limitando l’intervento di «revisione alle sole previsioni concernenti strettamente l’avvocatura», si propone di esplicitare in Costituzione che «nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati» e che solo «in casi straordinari, tassativamente previsti dalla legge, è possibile prescindere dal patrocinio dell’avvocato, a condizione che non sia pregiudicata l’effettività della tutela giurisdizionale», specificando che «l’avvocato esercita la propria attività professionale in posizione di libertà e di indipendenza, nel rispetto delle norme di deontologia forense».

Il ddl è stato depositato, ad aprile, da Stefano Patuanelli e Massimiliano Romeo, capigruppo a Palazzo Madama, rispettivamente, del Movimento 5 Stelle e della Lega, a riprova, dunque, della determinazione dei due partiti di maggioranza a riconoscere tale ruolo. Un segnale colto dallo stesso Ermini, secondo cui «il fatto che il ddl al Senato sia d’iniziativa dei capigruppo dei due partiti di maggioranza non è certo marginale».

Ma ad impensierire il vicepresidente del Csm sono le diatribe in corso tra i due partiti di maggioranza. «Il percorso di una legge di revisione costituzionale è lungo e richiede una ferma volontà politica - ha spiegato - Ma soprattutto richiederebbe una stabilità di legislatura che in questo momento, almeno a leggere le cronache, non pare così scontata. Io resto cautamente ottimista, ma non mi nascondo le difficoltà», ha aggiunto Ermini.

Che ha poi puntato il dito contro il populismo e i rischi che ne derivano, anche e soprattutto quando le tematiche riguardano la sfera giudiziaria. «Il rischio vero, che si annida nelle pulsioni populiste e nell'idea di una giustizia da asservire alla demagogia, sta nell'insidiosa opera di corrosione della giurisdizione, suscitando sfiducia e intaccando la credibilità dei magistrati - ha evidenziato - A fronte di un tale rischio, è evidente l'importanza che assume il principio di indipendenza attribuito dalla Costituzione al potere giurisdizionale. Ma altrettanto importante è che indipendente e autonoma sia anche l'avvocatura».

Insomma, una bordata alle forze di governo che Ermini ha poi rincarato cavalcando un altro tema, quello del giustizialismo, «della tendenza alimentata dal processo mediatico, che non di rado trova sponda a livello politico, a trasformare il processo in sommaria giustizia di piazza. Il populismo giuridico si colloca radicalmente all'opposto della struttura democratica della giustizia».

Ermini aveva già esplicitato la propria posizione a dicembre scorso, nel corso dell’inaugurazione della Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università di Perugia. «Se l’avvocato – aveva affermato – è il difensore della libertà nel processo, la costituzionalizzazione esplicita del suo ruolo consentirebbe di rafforzare il diritto di difesa e il contraddittorio. Magistratura ed avvocatura, diceva Piero Calamandrei, sono organi complementari di una sola funzione, legati da scambievole rispetto e da reciproco riconoscimento di uguale dignità verso lo scopo comune».