Da ex aree militari a nuove carceri. Firmato il protocollo d’intensa tra il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e la ministra della Difesa Elisabetta Trenta per individuare aree militari inutilizzate dove possano essere realizzati nuovi istituti penitenziari. Il documento ha l’obiettivo di migliorare la nota situazione di sovraffollamento delle carceri italiane e consentire l’attuazione del piano di riequilibrio territoriale del sistema penitenziario nazionale.

Ricordiamo che il piano della riconversione è legittimato dall’articolo 7 del decreto semplificazioni, poi convertito in legge. Tale articolo dispone che, ferme restando le competenze del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti in termini di infrastrutture carcerarie, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria concorra attivamente alle attività relative alla ristrutturazione e/ o alla costruzione di nuovi istituti nei prossimi due anni ( termine 31 dicembre 2020). E tra i compiti assegnati al Dap dall’art. 7 ( comma 1) c’è anche la “individuazione di immobili, nella disponibilità dello Stato o di enti pubblici territoriali e non territoriali, dismessi e idonei alla riconversione, alla permuta, alla costituzione di diritti reali sugli immobili in favore di terzi al fine della loro valorizzazione per la realizzazione di strutture carcerarie”. Ora, con il protocollo d’intesa firmato ieri, interverrà anche il ministero della Difesa, individuando, appunto, le caserme dismesse. Quindi, per ora, pare che sia accantonata la costruzione di nuove carceri, ma ritorna in pista la riconversione dei vecchi edifici. È attuabile in tempi brevi e le risorse finanziare basteranno? Ma soprattutto le vecchie caserme risponderanno alle logiche del carcere moderno che deve avere strutture architettoniche adeguate al nuovo concetto della pena?

Le opere militari inutilizzate sono sparse in tutto il territorio italiano e per lo più abbandonati al degrado: vecchie caserme, polveriere, poligoni, postazioni dei battaglioni d’arresto, alloggi per i militari, che da anni aspettano una riconversione per diventare musei, addirittura parchi fotovoltaici, oppure frantoi. Ma anche, appunto, carceri.

L’esempio attuale è San Vito al Tagliamento, nel Friuli, dove al posto della caserma nascerà il nuovo carcere, atteso da anni. Ricordiamo che la caserma è stata individuata nel 2013. Infatti l’iter è stato lunghissimo, con non pochi intoppi, tanto da ricorrere alla Corte dei Conti che poi dette il via. Ma la caserma, ovviamente, non risponde ai canoni moderni del carcere, per questo viene abbattuta e quindi si rifarà da zero il nuovo carcere. È stata recuperata solamente la palazzina già sede del Comando del Battaglione Piccinini e ospiterà la parte amministrativa della nuova struttura. I lavori sono iniziati ufficialmente nel maggio del 2018, però il bando è stato presentato alla Gazzetta Ufficiale Europea nel 2013. Il costo è di circa 25 milioni di euro già stanziati dai precedenti ministeri. I costi, appunto, sono quelli che sono stati presi in considerazione anche dal rapporto di Antigone e già riportato da Il Dubbio.

I soldi stanziati per questo tipo di attività di edilizia carceraria sono meno di 30 milioni in due anni. Basteranno visto i costi che riguardano anche le riconversioni che, di fatto, sono ricostruzioni? Ecco perché diversi giuristi, associazioni come Antigone o movimenti politici come il Partito Radicale, puntano all’implementazione delle pene alternative.