A Napoli, dove l’ironia e la protesta regnano sovrane, non si sono fatti pregare a hanno accolto il ministro dell’Interno con i più variegati striscioni. Quello che ieri risaltava di più era quello del fratello di Pino Daniele: «Questa Lega è una vergogna. Lo diceva anche mio fratello Pino».

Una frase che era già circolata, ma questa volta a dirla è lo stretto parente del grande cantautore napoletano che ha sempre rivendicato l’essere “nero a metà” e forse anche qualcosina in più visto il blues che gli scorreva nel sangue.

Ma il fenomeno degli striscioni contro Salvini non riguarda solo il Meridione, i terroni di non tanto tempo fa. La protesta segue il leader della Lega ovunque vada, a tal punto da innervosirlo e chiedere alle forze dell’ordine di rimuovere le odiate scritte: anche in questo caso i cittadini anti salviniani non si sono fatti scoraggiare e a Firenze è apparso un lenzuolo ad alto tasso di ironia: «Portatela lunga la scala... sono al quinto piano».

E’ un fenomeno in crescita e già si parla del “popolo degli striscioni” come un tempo si parlava del “popolo viola”. Ma che cosa sta succedendo? Che cosa rappresenta questo desiderio di uscire dal web, fuori dal mondo chiuso del proprio computer?

Forse è troppo presto per dirlo con certezza, ma è il sintomo di un meccanismo che si è rotto, di una voglia di tornare a una comunicazione meno virtuale, non mediata ( solo) dai social network. In questi anni si è affermato come dominante quello che il sociologo Alessandro Dal Lago ha definito «il populismo digitale» ( titolo anche del suo saggio pubblicato da Raffaello Cortina editore): «Populismo perché i leader pretendono di agire in base al mandato diretto del popolo; digitale perché la nuova relazione tra leader e “popolo” avviene soprattutto nell’acquario del web».

Un acquario che secondo Dal Lago illude il popolo di poter esprimere liberamente le proprie idee, mentre «saranno le élite o le avanguardie che parleranno sempre per lui ». La comunicazione di Salvini, che ha inasprito la battaglie delle idee, ha suscitato una reazione: ha fatto sì che quell’acquario iniziasse a perdere acqua. Il fenomeno della scrittura non è paragonabile solo alle manifestazioni di piazza.

Sono i post o i tweet che dai social vengono spostati nella realtà, sono le prese di posizione virtuale a cui il popolo digitale aggiunge il proprio corpo, la propria casa ( gli striscioni vengono molto spesso appesi alle finestre delle abitazioni), il proprio indirizzo reale. È un’uscita dal guscio, è la voglia di esserci qui e ora, dopo anni di comunità virtuali. Per un altro sociologo, Marco Revelli, non vanno confusi con i girotondi: «I girotondi - ha detto in un’intervista al Fatto quotidiano - erano la denuncia dell’impotenza dell’opposizione a Berlusconi e l’assunzione in prima persona dell’impegno da parte dei cittadini che si auto- organizzavano.

Ma c’è una differenza sostanziale: mentre i girotondi avevano come protagonisti gli esponenti di quello che Paul Ginsborg definiva “il ceto medio riflessivo”, questa contestazione a Salvini e un fenomeno molto più popolare. Quelli dei selfie trabocchetto non sono professori di università orfani della sinistra storica, sono giovani creativi infastiditi da una figura così rozzamente intrusiva. Più fastidio che supplenza della politica».

Un fastidio, chiosando Revelli, che riguarda la politica digitale, quel populismo che parla a nome del popolo, che ne orienta il sentiment per poi incarnarlo, ma che sta diventando una prigione.

Sarebbe sbagliato pensare che il virtuale è morto. Gli stessi striscioni hanno tutto questo risalto perché poi diventano visibili sui social, così come i selfie trabochetto ( le foto scattate con Salvini per metterlo alla berlina) non esisterebbero senza la possibilità di condividerli. Ma in entrambi i casi il segnale è molto forte: la voglia di irrompere nel reale, di creare un ponte tra l’esperienza sul web e il proprio corpo, tra la comunità virtuale e il mondo che ci circonda.

Il linguaggio scelto è da questo punto di vista perfetto: frasi secche, ellittiche, un po’ sgrammaticate come nel parlato, scritte sulle lenzuola di casa: segno di una intimità non più mimata sui social, ma esibita concretamente. Stiamo per entrare in un nuova epoca?

Assolutamente no. Il populismo gode ancora di ottima salute e si caratterizza non solo per legittimare l’uomo solo al comando, ma per essere motore del giustizialismo. Ne è un esempio l’iniziativa in attesa del comizio della Lega domani a Milano. Le associazioni che hanno organizzato la protesta hanno lanciato la proposta di realizzare gli striscioni numerati da 1 a 49, in riferimento ai milioni che la Lega deve restituire allo Stato, e di condividerli sui social con l’hastag “dove sono i 49”.

L’accusa è per le rate che sono state concesse al partito di Salvini dai giudici. La scelta è di puntare ancora una volta sui temi della giustizia, considerata non sufficiente e difettosa, esattamente come fu per il popolo viola nei confronti di Berlusconi. I girotondi, nonostante le novità del popolo degli striscioni, sono ancora intorno noi.