Lo straordinario debutto al Teatro Sannazaro di Napoli di Interiors, in scena fino al 12 maggio, nel nuovo allestimento del pluripremiato spettacolo ideato e diretto dal regista britannico Matthew Lenton, consente di riavvolgere il filo della memoria per riportarci all’edizione del Napoli Teatro festival del 2009, diretta da Renato Quaglia. Curiosità ed emozione allora, così come adesso, a distanza di 10 anni.

Un grazie va al Teatro Sannazaro per questa sezione di spettacoli “A volte ritornano!”, ideata da Giulio Baffi, che ci permette di rivedere o assistere, per chi avesse perso la rappresentazione, ad ottimi lavori già andati in scena. Ma soprattutto i ringraziamenti vanno alla Produzione “Tradizione e Turismo - Centro di Produzione Teatrale ed Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro” che ha reso possibile che la creazione originale di Vanishing Point di Glasgow- la compagnia teatrale di cui Lenton è fondatore e direttore artistico - tornasse in scena con un nuovo cast di attori intergenerazionale, questa volta però tutti italiani. Lenton li ha scelti attraverso un’audizione tra le circa 800 candidature pervenute alla produzione e diretti in scena, tutti molto concentrati ed espressivi nei ruoli interpretati.

Una responsabilità non da poco per un cast formato da Clara Bocchino, Giuseppe Brunetti, Ivan Castiglione, Sergio Di Paola, Rebecca Furfaro, Lucienne Perreca, Giorgio Pinto, Ingrid Sansone. «Ho apprezzato tanto ed osservato quanto gli attori - ha detto Lenton- fossero curiosi come dei bambini. Ma è uno spettacolo diverso - ha continuato- che, pur mantenendo intatta la suggestione e l’idea di base, cambia parecchio rispetto alla precedente edizione. Sicuramente in alcuni elementi della scenografia e, soprattutto, nelle dinamiche instaurate dagli attori che formano il nuovo cast». L’incipit della drammaturgia nacque da un lavoro Maurice Maeterlinck, autore belga, premio Nobel nel 1911, in cui due signori guardano attraverso le finestre di una casa lo svolgersi della vita di tutti giorni, un interno familiare, i cui componenti sono riuniti in salotto. Lenton si distanzia dall’originale, cerca di ricreare la medesima atmosfera di inverno freddo in cui lo spettatore dall’esterno guarda, attraverso le pareti di vetro, o forse spia, quello che succede dentro casa.

Nella versione originale era Glasgow oggi è Napoli, location fondamentale per lo sviluppo del progetto. Due città accomunate dalla densità abitativa ma molto diverse forse dalla curiosità che può suscitare in chi, inglese o napoletano, può sbirciare attraverso i vetri la vita degli altri ma vivendo la stessa dinamica dei rapporti interpersonali nei preparativi e nello svolgimento di una cena, a Napoli che altrove. Precisa non a caso il regista: «Interiors mette in scena un ritratto di interni, invitando il pubblico a guardare cosa avviene dentro l’accogliente casa in cui un gruppo di amici decide di riunirsi per vivere insieme la notte più lunga dell’inverno. È il momento in cui ognuno ha più fortemente bisogno degli altri per rischiarare con il calore umano il buio della notte nordica».

La sala diventa una piccola scatola di luce che riverbera i colori dell’ambientazione, ridefinisce i contorni degli oggetti e dei ricordi, rispecchiando con precisione la vita delle persone che l’abitano, molto simile a tanti altri salotti. La nostra vita è la loro, sembra suggerirci l’allestimento, lasciando però allo spettatore l’immedesimazione in uno dei personaggi. L’aspetto più significativo, infatti, sta nel fatto che gli attori non parlano, mimano. Ed è solo la voce fuori campo che tiene il filo dei comportamenti di ciascuno.

L’attore interpreta in versione di se stesso in scena, il bravo Sergio di Paola è appunto Sergio, la giovane e brava Clara Bocchino è Clara, la figura misteriosa, prima fuori campo, e poi che sbircia dal vetro e racconta in parallelo, prefigurando i destini e le vite di ciascuno. Il tutto suscita un impatto emotivo al tempo stesso forte e incoerente. «Ma l’incoerenza – racconta il regista – vale più della coerenza, perché è spontanea». Gli attori e le attrici sono tutti molto convincenti, come Ingrid Sansone nel suo ruolo di Ingrid, l’amica ospite che porta in dono il dolce per la cena alla piccola Lucienne ma che pensa di portarselo via. Mimica, movenze e vis espressiva imprimono una nuova linfa e connotazione allo spettacolo. Bravi anche gli altri protagonisti: da Giuseppe Brunetti, Ivan Castiglione, Rebecca Furfaro, Lucienne Perreca, a Giorgio Pinto. Una bella commedia del muto.

Ma questo racconto parallelo che aleggia su di noi, con un respiro sospeso come di chi guarda dall’al- di- là e vede svolgersi la vita che non può più toccare ma solo rimirare. Può essere perfino giovane questa morte che ci osserva e che ci anticipa domandandosi: «Cosa stanno vivendo ora, cosa hanno vissuto, cosa vivranno, quale sarà il loro destino?».

Oppure è solo un invito a guardarsi dentro, a non perdere tempo nelle pieghe delle relazioni con l’altro, a non crearsi aspettative perché i dolori sono in agguato? Da Glasgow a Napoli le domande della vita, le fragilità umane, gli amori sono gli stessi, cambiano i modi e i comportamenti per affrontarli.

Tutto si mescola, immaginazione, finzione, realtà e intuizione. Il risultato dello spettacolo con questa nuova caratterizzazione è veramente forte e si guarda, rispetto al 2009, con un occhio nuovo, forse più vicino a noi.

Le musiche originali sono di Alasdair Macrae, i costumi di Luisa Gorgi Marchese, lo spazio scenico di Francesca Mercurio, assistente alla regia è Davide Pini Carenzi, la creazione è di Vanishing Point.