Non solo un mancato intervento da parte delle istituzioni proposte, ma anche un drastico peggioramento. Parliamo dell’insostenibile situazione che vivono gli internati al 41 bis ospiti della cosiddetta “casa lavoro” del carcere di Tolmezzo. A denunciarlo a Il Dubbio è l’avvocata Maria Teresa Pintus che è anche la referente della Sardegna per l’Osservatorio Carcere dell’Unione delle camere penali. «Sono stata a Tolmezzo il 2 maggio scorso e la situazione è peggiorata – spiega Pintus -, ora gli internati lavorano solo otto ore al mese, quindi due alla settimana». E per lavoro si intende quello “domestico”, mansioni - tipo lo“scopino” - necessarie affinché sia garantito il mantenimento dell’istituto e sono di scarsa qualificazione dal punto di vista riabilitativo. «La serra – continua l’avvocata – ancora è in disfunzione, perché non ci sono i finanziamenti per aggiustarla». Quindi, non solo la serra – quella caratterizzante per una “casa lavoro”-, ma si è ridotto ulteriormente l’orario di lavoro non professionalizzante. Un problema esteso non solo agli internati, ma anche ai detenuti comuni. Cosa ha provocato tutto ciò? «Quando sono andata a fare un colloquio con un detenuto recluso nella sezione di Alta Sorveglianza – risponde l’avvocata Pintus -, è iniziata la battitura come forma pacifica di protesta perché con il taglio dei fondi per il lavoro, i detenuti sono lasciati a se stessi e senza una minima occupazione». Il risultato di tutto ciò è che nel corridoio della sezione si comincia a sentire l’odore nauseante della spazzatura, visto che non viene ritirata per mancanza dei lavoranti. Una questione divenuta insostenibile tanto che l’osservatorio nazionale carcere dell’Unione delle camere penali presieduto dagli avvocati Gianpaolo Catanzariti e Riccardo Polidoro, è pronto ad elaborare un documento per indirizzarlo al ministero della Giustizia e al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. La questione è seria. Per alcune settimane gli otto internati a Tolmezzo hanno anche intrapreso uno sciopero della fame. Come già riportato su Il Dubbio tramite le parole dell’avvocato e militante dei radicali italiani Michele Capano, la serra che dovrebbe tenere occupati gli internati, in realtà non è in funzione da moltissimi mesi e quindi accade che la misura di sicurezza si svolge quasi interamente al 41 bis come gli altri detenuti. In mancanza di ciò, il magistrato di sorveglianza non ha gli strumenti per valutare la mancata cessazione della pericolosità sociale e quindi la proroga diventa pressoché automatica.

Una questione, quella degli internati senza lavoro, che già nel 2016 fu segnalata da Rita Bernardini del Partito Radicale. Andò a visitare il carcere de L’Aquila dove prima erano ospitati gli internati al 41 bis. Ed era lì che c’era il problema della mancanza di lavoro. Grazie a quella segnalazione, l’ex capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo li aveva trasferiti a Tolmezzo per farli lavorare nella serra. Ora le stesse identiche problematiche si riscontrano in questo istituto. Da ricordare che la paradossale condizione di internamento a Tolmezzo era stata oggetto già di apposita menzione e segnalazione da parte del Collegio del garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale nella relazione al Parlamento del 2018, ed è esplicitata anche nel ‘ Rapporto tematico sul ‘ 41bis’ pubblicato il 5 febbraio scorso. Gli internati, ex detenuti che hanno già finito di scontare la loro pena, rimangono ancora gli “ultimi degli ultimi” all’interno delle patrie galere, con l’aggravante che sono stati tagliati i fondi per il lavoro, quello che doveva essere il cavallo di battaglia del Governo per la riabilitazione.