Nell’ultimo «giorno utile» per comprendere «l’importanza» della vicenda Siri e chiedere al sottosegretario un passo indietro, come suggerito da Luigi Di Maio, Matteo Salvini sceglie la strada della conciliazione belligerante, sintetizzabile in un: no alle dimissioni ma senza rancori. O almeno sembra questo il senso delle parole pronunciate dal ministro dell’Interno alla vigilia del delicatissimo consiglio dei ministri, convocato per questa mattina alle dieci. «Se vanno al voto, votano per le dimissioni di Siri, dimettono una persona senza che ci sia mezza prova, se ne prendono la responsabilità», dice il segretario della Lega, prima di annunciare il comportamento del suo partito: «Noi votiamo contro le dimissioni e andiamo avanti». Discorso chiuso, dunque. La portata politica dell’eventuale conta in Cdm viene dunque disinnescata in partenza. «In base alla volontà di Salvini e della Lega ci sarà il governo anche nei prossimi anni», assicura il vice premier leghista, senza però rinunciare alla polemica con l’alleato. La spaccatura con il Movimento 5 Stelle «mi sembra evidente», ammette l’inquilino del Viminale, «non solo su questo: su Tav, su autonomia», solo per citare alcuni degli ambiti in cui i due partiti di maggioranza si schierano su barricate opposte. La Lega in quest’occasione ingoierà per mancanza di alternative e il governo del cambiamento resterà in sella ancora un altro po’. Almeno fino alle Europee, quando le urne potranno decretare nuovi equilibri politici, validi a Bruxelles come a Roma. Per ora, il Movimento può però cantare vittoria, utilizzando anche la rimozione di un sottosegretario leghista come argomento da campagna elettorale. Per questo Luigi Di Maio prova a tenere alta la tensione con l’alleato. «Non saremo noi ad aprire una crisi di governo. Non saremo noi a parlare di poltrone. Trovo assurdo che ci siano spaccature» nel governo sul caso Siri, dice il capo politico in conferenza stampa. «Spaccarsi su una battaglia che ci dovrebbe vedere uniti alla Lega è un messaggio sbagliato dato al Paese» , aggiunge. «Se si deve votare si vota», sottolinea in tono minaccioso, «si sa bene come finirà». Dunque, Di Maio lancia «un ultimo appello alla Lega, chiedendo di far dimettere Armando Siri e non arrivare alla conta in Cdm», dice affiancato dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. «Da noi chi sbaglia è fuori in un secondo, le altre forze politiche facciano lo stesso». Del resto, i dubbi grillini sul sottosegretario leghista non riguardano solo l’inchiesta per corruzione. «Sarebbe anche ora di dare qualche spiegazione sul mutuo fatto con la banca di San Marino», attacca ancora Di Maio. «Tutti gli italiani provano a farlo ma nessuno lo fa senza dare garanzie. Il tema non è il mutuo in sé ma le garanzie», aggiunge, riferendosi all’inchiesta, per ora a carico di ignoti, aperta dalla procura di Milano sulla compravendita di una palazzina da parte del sottosegretario.

Il Movimento 5 Stelle «non dice che Siri non debba difendersi, per carità, anzi ci auguriamo che lo faccia e nelle forme che ritiene più opportune», aveva già scritto in mattinata su Facebook il leader grillino, suonando la carica per tutti i big del partito - da Toninelli a Buffagni, passando per Fantinati - che per tutta la giornata insisteranno sullo stesso concetto. «Molto più semplicemente chiediamo che a un politico indagato per corruzione non sia concessa la possibilità di amministrare soldi pubblici», è la dichiarazione belicosa del vice premier pentastellato. Che non capirà «mai perché la Lega in queste settimane abbia continuato a difendere Siri invece di fargli fare un passo indietro», insiste Di Maio. «Oggi è l’ultimo giorno utile perché Salvini comprenda l’importanza di questa vicenda. Mi auguro faccia la cosa giusta». E la cosa giusta, secondo il leader pentastellato, è evitare una spaccatura palese in consiglio dei ministri.

Ma nonostante i toni accesi, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è convinto che quello di oggi sarà un cdm «sereno». Perché la situazione, secondo Palazzo Chigi, «è chiara» : Salvini e Di Maio saranno costretti a stare ancora insieme.