«Siamo di fronte a un corto circuito: un’iniziativa giudiziaria assolutamente legittima produce, per scelta della politica, effetti impropri in quanto anticipati. E non è la prima volta». Cesare Mirabelli accetta di parlare del caso Siri. Il presidente emerito della Consulta sa d’altronde di non correre il rischio di insinuarsi nella polemica politica spicciola giacché la revoca dell’incarico annunciata da Conte ha così tante sfumature “costituzionali” da offrire un gran numero di spunti anche al più neutrale degli osservatori.

Conte tradisce un po’ lo spirito dei costituenti, che avevano previsto per esempio l’immunità parlamentare proprio affinché la magistratura non invadesse il campo della politica?

Qui siamo di fronte all’effetto politico di un’iniziativa giudiziaria del tutto legittima. Ma si tratta appunto di un effetto indipendente dall’accertamento di una responsabilità penale. Cosa che avviene nonostante l’ordinamento già preveda specifiche conseguenze, in caso di condanna, per chi ricopra incarichi politici.

Si poteva evitare la revoca dell’incarico?

Osservo che non si può assolutamente scorgere alcuna strumentalità nelle azioni degli inquirenti, ma che sul versante della politica si traggono conseguenze nonostante manchi non solo un provvedimento di condanna ma anche l’esercizio dell’azione penale.

Cioè almeno una richiesta di rinvio a giudizio.

E in un quadro simile si ha un effetto politico che non rientra nel quadro della giurisdizione. È la politica che attribuisce alla giurisdizione effetti anticipati. Ed è evidente che si tratta di conseguenze non provvisorie.

A cosa si riferisce?

Al fatto che la revoca di un incarico, in un caso come questo, non reca certo il segno della provvisorietà cautelare. Comporta in modo evidentemente definitivo la perdita dell’esercizio di una funzione che deriva pur sempre da una investitura democratica.

Siamo alle solite. È invalso ormai il principio per cui la politica deve censurare se stessa a prescindere dalle sentenze. Ma non dovrebbe essere vero il contrario, e cioè che la politica dovrebbe evitare conseguenze non previste dal procedimento penale?

Qui entra in gioco un altro problema: la durata dell’accertamento giurisdizionale, che storicamente non è segnato dalla rapidità. D’altra parte ci sono casi in cui la legge prevede in modo chiaro effetti provvisori di un’azione penale ancora non definita: avviene per alcuni reati in virtù della legge Severino.

Basterebbe seguire la legge, che nel caso non obbligava a rimuovere Siri.

A volte andiamo oltre le previsioni di legge. Il mero avvio di un procedimento che pure non si concretizza già in una richiesta di rinvio a giudizio suscita sia la reazione negativa dell’opinione pubblica sia un effetto sul piano politico: entrambi non favoriscono certo il corretto funzionamento del sistema.

Il corto circuito, appunto.

Poi ci sono motivi politici, dietro la scelta di revocare un incarico. Ma sono un’altra cosa.

Ci arriviamo. Ma intanto, quando Conte ha giustificato la rimozione di Siri con la scarsa astrattezza della norma pro- Arata, non ha agevolato un’invasione di campo dei pm e quindi compromesso la separazione dei poteri?

In realtà la domanda da porsi a me pare sia un’altra, ed è la seguente: il carattere non astratto dell’emendamento proposto dal sottosegretario, e il possibile ingiusto vantaggio che quella norma avrebbe eventualmente procurato, non erano forse già noti prima che partisse l’inchiesta?

Sarebbe stato più corretto se Conte avesse rimosso Siri prima che si sapesse dell’inchiesta?

La sua posizione sarebbe stata più forte in quanto meglio riconoscibile. Sembra evidente che nel caso di specie l’imminente proposta di revocare l’incarico al sottosegretario o è la conseguenza dell’indagine penale, impropriamente anticipata, o è la conseguenza di un’iniziativa del sottosegretario ritenuta inappropriata e ingiusta. Se è vera l’ultima proposizione, siamo appunto di fronte alla compromissione del rapporto di fiducia tra il presidente del Consiglio e il sottosegretario. E se è così, l’indagine penale non c’entra nulla.

Quando parla della fiducia si riferisce al procedimento di nomina dei sottosegretari?

Ricordo che il procedimento si definisce con atto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, proposta che avviene con il concerto del ministro competente.

Dunque c’entra sì Di Maio, ma il rapporto è innanzitutto fra Conte e Siri.

Il presidente del Consiglio è il titolare dell’indirizzo generale del governo. E se è lui a proporre i sottosegretari, è evidente che può proporne la revoca, qualora venga meno la fiducia nei loro confronti. In ogni caso, mi pare chiaro che il tema posto dal caso in questione sia più vasto?

Ossia?

È la questione di cui si è detto all’inizio: da una parte le iniziative della magistratura devono essere libere e autonome, considerato che in se stesse non comprimono l’esercizio degli altri poteri, dall’altra parte tale controllo di legalità non dovrebbe produrre conseguenze anticipate rispetto all’accertamento dei fatti. Solo nel caso in cui la legge determini l’incapacità funzionale è logico che le conseguenze vi siano prima, come avviene con la legge Severino. Al di fuori di tale ragionamento, esiste solo il venir meno della fiducia e dunque la revoca di un sottosegretario come atto politico.

Chiarissimo. Un’ultima cosa: con quei rilievi sulla asserita scarsa astrattezza dell’emendamento Siri, Conte può aver dato paradossalmente una mano alle indagini?

Sarebbe così solo nel momento in cui l’accertamento penale dovesse far emergere una radice corruttiva nella proposta di emendamento avanzata dal sottosegretario. Se non è così, siamo solo di fronte a una sfiducia di carattere politico.