Recuperare gli uomini che maltrattano le donne si può. Dopo essere stato avviato in via sperimentale, il progetto della Regione Piemonte per cercare di riabilitare gli autori di violenza contro le donne diventa strutturale: entro il 31 maggio gli enti locali, le organizzazioni titolari dei Centri antiviolenza iscritti all’apposito albo regionale, tutti coloro che sono impegnati nella promozione e realizzazione di interventi e attività a favore degli autori della violenza potranno presentare domanda per accedere a finanziamenti che ammontano complessivamente a 100.000 euro. L’assessora regionale ai Diritti sostiene che si intende rendere questi uomini non più un pericolo per le donne che hanno maltrattato, dato che quando escono dal carcere vanno spesso a cercare di nuovo le proprie vittime, diventano stalker, minacciano o si accaniscono verso di loro nei modi più violenti.

Fino ad oggi le associazioni specializzate in questo tipo di interventi hanno preso in carico 280 uomini con l’obiettivo di restituire alla società persone non più pericolose ma in grado di gestire la loro aggressività. Alcuni esempi: 60 detenuti nel carcere di Torino, 45 in quello di Vercelli e 15 in quello di Biella con condanna definitiva a sfondo sessuale beneficiano di un programma specifico; le otto associazioni che si sono occupate di portare avanti questo lavoro fuori dal penitenziario (Cerchio degli uomini, Consorzio socio- assistenziale cuneese, Spam- Paviol, Consorzio socio- assistenziale Ossola, Medea, Gruppo Abele, Elios Coop e Punto a capo) hanno in carico 162 persone. Di queste, sette su dieci sono italiane e in sette casi su dieci si tratta di mariti o conviventi delle vittime.

I numeri

Secondo gli ultimi dati Istat Il 31,5% delle 16- 70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila).

Ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner. La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa della violenza subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione. Il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro. Le donne subiscono minacce (12,3%), sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1%). Meno frequenti le forme più gravi come il tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia o l’uso di armi.

Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%). Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8% fra tutte le violenze commesse da sconosciuti). Sempre secondo l’Istat Le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corso della vita (31,3% e 31,5%).

La violenza fisica è più frequente fra le straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%). Le straniere sono molto più soggette a stupri e tentati stupri (7,7% contro 5,1%). Le donne moldave (37,3%), rumene (33,9%) e ucraine (33,2%) subiscono più violenze.

Le donne straniere, contrariamente alle italiane, subiscono soprattutto violenze (fisiche o sessuali) da partner o ex partner (20,4% contro 12,9%) e meno da altri uomini (18,2% contro 25,3%). Le donne straniere che hanno subìto violenze da un ex partner sono il 27,9%, ma per il 46,6% di queste, la relazione è finita prima dell’arrivo in Italia.

Non solo prigione, ma recupero.

Gli uomini che odiano le donne, però, si possono e si devono recuperare, per questo in Italia sono nati dei centri di ascolto che tentano di contrastare il fenomeno della violenza sulle donne partendo dalla riabilitazione dei colpevoli, offrendo loro una serie di colloqui individuali e, in seguito, la partecipazione a gruppi di confronto, condotti da operatori sanitari.

Il primo centro di ascolto degli uomini matrattanti (Cam) nasce a Firenze nel 2009 ed è appunto il primo centro italiano ad occuparsi della presa in carico di uomini autori di violenza nelle relazioni affettive attraverso percorsi volti all’assunzione di responsabilità del comportamento agito al fine di garantire maggiore sicurezza a donne e bambini.

Lavora in stretta collaborazione con Servizi/ Enti/ Istituzioni territoriali. Fa parte della rete nazionale Relive (Relazioni Libere dalle violenze) e della rete europea Wwp En (Work With Perpetrators) dei programmi per autori. La tipologia di uomini che arrivano nei contesti Cam volontariamente hanno un livello culturale e sociale molto vario. Nel contesto carcerario, invece, sono molti di più gli uomini che hanno un livello sociale e culturale basso e che hanno scarsa dimestichezza con il loro mondo emotivo. La rabbia, ad esempio, è presente nelle interazioni non sempre in modo sentito e gestibile, più spesso in modo esplosivo o, al contrario, represso, non sempre gli uomini sono in grado di riconoscerla o di vedere oltre quell’emozione. Quasi tutti i detenuti contestano, se non in toto almeno in buona parte, la condanna ricevuta negando, minimizzando, non riconoscendo il reato.

Anche quando ammettono di aver fatto qualcosa, la condanna è vissuta come sproporzionata, esagerata e si sentono delle vittime. Il senso di ingiustizia legato a quanto stanno scontando è difficile da abbassare. La vittima del loro comportamento, ai loro occhi, è rimasta impunita, c’è la convinzione che abbia contribuito attivamente a che si creasse la situazione in cui si è consumato il reato. Questo senso di ingiustizia viene rinforzato dalla condizione carceraria. Dentro il carcere, uomini e donne vivono delle situazioni di privazione e limiti che li vittimizza con il risultato che l’essere realmente vittima ostacola il considerarsi autore. Un carcere impone, per sua natura, dei limiti e delle privazioni, rispetto alla libertà personale, ma spesso si verificano livelli di coercizione, di violenza, di burocrazia che niente hanno a che fare con il mantenere comunque sempre prioritario un assetto istituzionale umano e rieducativo. Per questo motivo alcuni Cam sono entrati in carcere, soprattutto quello fiorentino, creando nel limite del possibile delle sezioni di studio e di ascolto. Ma non tutte le carceri sono aperte a questo tipo di recupero, per questo la strada è ancora in salita.